Essere i Wire. Essere la band che ha contribuito a far germogliare il pensiero new wave. Essere i Wire nonostante le continue fratture interne. Essere artisti iconici e quasi spiritualmente inviolabili, al punto che ogni uscita discografica non sembra mai all'altezza della riconosciuta autorevolezza, per poi riscoprirne in seguito genialità e coerenza. Essere i Wire, ovvero avere il coraggio di aprire un disco al grido di It's Nothing New, recuperando un vecchio scritto del 1977 in seguito accantonato, un brano che risveglia le migliori istanze anche letterarie della band, con un duro attacco al capitalismo, scandito da riff pungenti di chitarra e un'atmosfera alla "Killing An Arab" dei Cure ("Be Like Them").
Sia ben chiaro che i Wire non hanno alcuna paura di evocare il passato, soprattutto ora che la loro prospettiva discografica è orientata verso una dimensione ultra-pop alla maniera del primo Brian Eno (vecchio compagno di discussioni culturali e musicali).
"Mind Hive" è un classico album post-punk, aspro e tagliente come un messaggio affidato al mare in una bottiglia e ora approdato sulle sponde della moderna indifferenza.
I Wire non disdegnano le origini del rock'n'roll, accennando un surf-beat elegante e trascinante ("Off The Beach"), scomodando perfino l'indolenza melodica del David Bowie di "Low" ("Unrepentant"), fino a scavare nelle profondità eno-esque dell'enigmatica "Shadows"). Quarantatré anni di attività e diciassette album all'attivo sono un curriculum rilevante per i Wire, soprattutto in virtù dei continui fermi amministrativi della band. "Mind Hive" è in verità il sesto capitolo di una rinascita creativa iniziata con "Red Barked Tree", forse il più incisivo e concreto.
È senz'altro l'album con il singolo più potente dell'ultimo decennio della band ("Cactused"), una nervosa pop-song che estrae dalla semplicità lirica una tensione armonica degna dei migliori Devo o Talking Heads.
Sono senza dubbio degli autori abili, al punto da essere ancora oggi fonte d'ispirazione per giovani band (B Boys) eppure inarrivabili, soprattutto quando mettono in piedi strutture elettroniche di rara bellezza ("Humming") ed energia ("Primed And Ready").
I Wire incarnano alla perfezione anche il ruolo di protagonisti dell'era punk - la costante avversione verso il ruolo di professionista e di musicista è percepibile nella loro capacità di trasformare melodie inoffensive in lame taglienti o incubi oltremodo inquietanti, come in "Oklahoma".
Sembra quasi che il gruppo, dopo tanto sperimentare, miri a riappropriarsi di quella vena pop che da oltre trent'anni influenza lo scenario indie. Riuscendo così a convertire perfino la routine in un brivido e nello stesso tempo tenendo a bada i più esigenti con una lunga dissertazione elettronica dai contorni sperimentali ("Hung"), cosicché l'ascoltatore resta nel dubbio e nell'incertezza grazie al fascino precario, ma sempre moderno, di un'architettura di suoni e parole unica e inimitabile.
27/01/2020