L’ultimo appuntamento con la musica di Adrian Crowley è uno dei ricordi personali più intensi degli ultimi anni. E dire che le premesse non erano le migliori: tacciato da molti di aver perso il dono della scrittura e di aver valicato il confine tra la melodia e la noia, il cantautore irlandese con “Dark Eyed Messenger” (2017) ha definitivamente smarcato il proprio immaginario dalla scuola cantautorale, per un regale e onirico post-rock dalle fluttuanti atmosfere chamber-folk.
Pubblicato a quattro anni di distanza dal precedente capitolo, “The Watchful Eye Of The Stars” è un progetto ancor più ambizioso per Crowley, che ha assoldato uno stuolo di collaboratori di alto lignaggio: non solo John Parish alla produzione, ma anche Jim Parr dei Portishead e due eccellenti interpreti femminili come Nadine Khouri e Katell Keineg.
Fatte salve le assonanze che ogni album del musicista irlandese trascina con sé, ovvero Bill Callahan e Mark Kozelek, questo nuovo progetto coglie nel segno, affiancando alla vena poetica di Crowley un suono ancor più caliginoso e inquieto, che fa vacillare spesso il romanticismo dell’autore verso un noir criptico, che ti aspetteresti più da Scott Walker che da Leonard Cohen (“The Singalong”).
Più che a coccolare l’anima, Crowley questa volta prova a trafiggerla: i quasi sette minuti di “Northbound Stowaway” per un attimo fanno volteggiare un sognante chamber-folk, ma bastano il suono di tamburi ossessivi e vellutati, lo struggente violino e un diafano coro femminile per alterarlo in una decadente e sinistra danza allegorica.
Il musicista trasforma ogni piccolo dettaglio strumentale in un imprevisto, ed è quello che avviene nella minimale e poetica “Ships On The Water”, distratta da cori e da uno strappo di violini che regalano una delle migliori reinvenzioni dell’immaginario dei Velvet Underground.
Pur di assecondare la natura più scarna delle nuove composizioni, Crowley sacrifica perfino il tono da crooner per un singolare timbro acuto e stridente in “I Still See You Among Strangers”, un brano che condivide con la conclusiva “Take Me Driving” il titolo di melodia più immediata del lotto.
Al pari dei testi in bilico tra realtà e surrealismo (l’autore ha comunque affermato che in ogni canzone c’è più verità di quanto appaia), la musica di “The Watchful Eye Of The Stars” è elegantemente imperscrutabile, ma non restia a una leggerezza e a un arioso lirismo pronto a infiammare con arpeggi e voci femminili la grazia di brani apparentemente ordinari come “Bread & Wine”.
L’importanza delle parole è ancora più evidente quando l’autore accenna il recitato soave di “A Shut In's Lament”, o quello ancora più solenne della mistica “Crow Song”, quest’ultimo uno dei racconti più intensi: la storia di un corvo ferito, salvato in una notte di tempesta dal fratello di Crowley.
Poco incline al compromesso, “The Watchful Eye Of The Stars” è stato annunciato dalla lunga e cupa “Northbound Stowaway” e dall’ancor più ardua “Underwater Song”, due punti nodali di un disco che resta sospeso in una dimensione temporale non ben definita. Un progetto avventuroso, coinvolgente e forse anche pericoloso, ma Adrian Crowley ha scelto il rischio ed è molto più emozionante di quanto possiate immaginare.
27/05/2021