Si può affermare che i Black Keys dai tempi di “El Camino” si siano arenati in un confortevole cul de sac. All’ispirazione è subentrata la professionalità, all’entusiasmo per il blues-rock di “Rubber Factory” o del sorprendente mini-album “Chulahoma: The Songs Of Junior Kimbrough”, si è sostituito l’interesse di Dan Auerbach per l’arte della produzione. Nel frattempo la band ha fidelizzato il pubblico con una sequenza di album furbi e musicalmente impeccabili, ma era nell’aria una ventata d’energia e di rinnovo delle pulsioni blues, che hanno fatto da collante tra Auerbach e Carney.
“Delta Kream” riparte proprio da quel breve tributo a Junior Kimbrough sopracitato (musicista con il quale i Black Keys hanno peraltro condiviso gli esordi su Fat Possum). L’album è stato registrato in una lunga seduta di dieci ore, una jam session simile a una seduta spiritica, con Dan e Patrick che evocano lo spirito del blues del Mississippi con la complicità del chitarrista Kenny Brown e del bassista Eric Deaton, entrambi già alla corte di Kimbrough e R.L. Burnside.
Undici cover di brani non solo di Jr Kimbrough, ma anche di Burnside, John Lee Hooker e Fred Mc Dowell, che danno forma a un solido groove rock-blues che lascia filtrare sensualità tipicamente soul (“Walk With Me”), il sapore aspro delle radici (“Coal Black Mattie”), una visceralità poetica seducente (“Poor Boy A Long Way From Home”), nonché il rispetto per la tradizione e i suoi totem (“Crawling Kingsnake”).
Pur con qualche lieve tentennamento, i Black Keys riaccendono il sacro fuoco della musica rock-blues degli esordi, accantonando tentazioni e digressioni estetiche. Un solido ritorno, ma anche un disco che non aggiunge molto alla fama della band.
Un segnale di vitalità che non va comunque sottovaluto, anzi ascoltato e vissuto con lo stesso spirito gaudente di Dan Auerbach e Patrick Carney.
07/07/2021