È inconfondibile il marchio di fabbrica targato Carcass, fin dalla curiosa e originale copertina (le opere di Giuseppe Arcimboldo devono aver lasciato il segno!). Un’iconografia che ancora oggi riesce a differenziare la band di Liverpool dalle tante altre realtà cresciute a pane e melodic death metal. Ma non è tutto. “Torn Arteries” prova infatti a deviare rispetto al percorso più canonico del precedente “Surgical Steel”, ponendosi quasi come un anello di congiunzione tra il mastodontico “Heartwork” (1993) e il tanto discusso “Swansong” (ovvero il canto del cigno che nel 1996 chiuse la prima parte della carriera del gruppo).
La buona notizia è che Jeff Walker e Bill Steer hanno ancora delle frecce al proprio arco: gli anni passano ma dietro al microfono nulla sembra essere cambiato (lo screaming è sempre tagliente e velenoso), mentre quella chitarra continua a macinare riff di indubbia qualità, alternando imperiose melodie a rocciose aperture cariche di groove (eloquente è lo spirito 70’s che aleggia nell’ottima “Dance Of Ixtab”).
Questi Carcass in versione heavy sembrano addirittura funzionare meglio rispetto a quelli che tentano assiduamente la strada dell’uptempo (la title track scorre via in maniera abbastanza anonima), non a caso la scelta di accantonare la velocità viene ripagata a dovere da alcuni passaggi certamente riusciti, come “Eleanor Rigor Mortis” o “The Devil Rides Out”.
Inoltre, tra le varie composizioni, si riesce persino a catturare un’anima vagamente progressiva (i Carcass amano mischiare le carte, soprattutto dopo gli assoli), a cominciare dalle continue giravolte della fin troppo prolissa “Flesh Ripping Sonic Torment Limited”. Se dunque andiamo a scavare nel profondo, si può anche intravedere quel songwriting ancora legato all’approccio del più cerebrale “Necroticism” (1991), il capolavoro dei Carcass post-grind.
La sala operatoria di questi britannici non è più quella di una volta, questo è assodato, però l’assenza di sangue vivo qui è compensata da un mestiere mai fine a se stesso, anche perché l’autocitazione messa in atto dagli albionici riesce comunque a risultare unica, pur con le sue cadute di tono (“In God We Trust” o la successiva “Wake Up And Smell The Carcass/Caveat Emptor” hanno il sapore di un’anestesia totale).
“Torn Arteries” si rivela dunque un disco più che onesto, un lavoro che esce alla distanza proprio grazie alle sue trame complesse e articolate, da scoprire ascolto dopo ascolto.
26/09/2021