Dalle versatili trame Idm dell'indimenticato esordio "Clarence Park" (2001) all'inquietante e pulsante colonna sonora indie-horror del 2019 "Daniel Isn't Real", Christopher Clark si è progressivamente costruito un ruolo d'assoluto rilievo nel mondo dell'elettronica, soprattutto se incentrata nell'individuare figure che fossero in grado di cambiare continuamente connotati stilistici spinti costantemente oltre la linea solcata nei lavori precedenti. Tale processo evolutivo è proseguito anche nella realizzazione del nuovo album "Playground In A Lake", edito per Deutsche Grammophon, progetto che si inserisce chiaramente tra i più ambiziosi finora promulgati dal compositore e produttore inglese.
Lungo le sedici tracce, Clark esplora in profondità il concetto dell'infanzia, dell'innocenza perduta, giocando metaforicamente con rappresentazioni fantastiche e mitologiche che gareggiano sulle gravi condizioni ambientali nelle quali è versato il pianeta, soggetto che in più di un'occasione ha manifestato essere una sua grande angustia. Al contrario di ciò che si potrebbe ipotizzare, Clark si è accinto a tali argomenti sfumando la cupezza di elementi ambient, modern classical e pura elettronica con dilatate divagazioni melodiche, ispirate dagli studi compiuti da Scott Walker circa la fusione di blocchi orchestrali, sintetizzatori e rumori ambientali, come dall'esotismo quasi religioso dei Popol Vuh e dal misticismo cosmico dei Tangerine Dream.
Per la realizzazione del disco, il musicista di St. Albans ha radunato una nutrita schiera di collaboratori di spicco, solo per citarne alcuni: il violoncellista Oliver Coates, Chris Taylor e il suo clarinetto (Grizzly Bear), il puntuale violino di Rakhi Singh dei Manchester Collective e le voci di Kieran Brunt, Afrodeutsche, alle quali si è unita quella del dodicenne Nathaniel Timoney, timbro vocale perfetto per gli interventi volti a descrivere scenari di rassegnazione nell'osservare il più bel parco giochi esistente - il nostro mondo - annegato dall'insipienza dell'essere umano, evocativa figurazione perfettamente riassunta nell'immagine di copertina.
Brani come "Lovelock" - affrescata dal solenne violoncello di Coates - "Citrus" e "Lambent Rag" conservano uno stampo neoclassico, sul quale compaiono sottili elementi d'elettronica in sottofondo, mentre in sequenze quali "More Islands", "Already Ghosts" e "Aura Nera" emerge la celebre essenza dell'elettronica tipica di Clark, costruita su riverberi e sintetizzatori analogici.
"Small" si staglia invece dal novero per l'intensità regalata dalle voci di Nathaniel Timoney e Kieran Brunt, sulle quali gelide note di sintetizzatore tratteggiano oscure visioni, perfetta introduzione alle ectoplasmatiche angolature esposte in "Disguised Foundation" e alle inquietanti sfumature sintetiche di "Earth Systems", laddove la mostruosa distopia di "Shut You Down" cede poi il timone a "Life Outro", occupata a chiudere in modo epico i battenti.
L'elemento chiave è l'abilità di Clark nel curare gli arrangiamenti in ogni minuzioso particolare; i pezzi cambiano spesso direzione, agevolando un metodo narrativo decisamente sperimentale, dedicato agli amanti dell'emotività più genuina e della commistione più tentacolare tra l'elettronica e la modern classical. "Playground In A Lake" offre quindi contesti straordinari comandati da un veterano del settore, che dimostra per l'ennesima volta quanto su di lui si possa sempre fare affidamento per non assecondare l'ordinario.
01/04/2021