Durante il lungo iato discografico, la band si è di quando in quando esibita dal vivo e ha avuto alcuni significativi cambi di formazione, come l'arrivo di Rob Ladd alla batteria e la sostituzione dello storico chitarrista George Huntley con Mike Ayers. Resta comunque costante il cuore originale del gruppo: i due fratelli David e Mike Connell (basso e chitarra) e il cantante Doug MacMillan, a cui si è aggiunto nel 1991 il tastierista Steve Potak. Negli ultimi anni, si erano intensificate le notizie di un nuovo disco, e con un po' di ritardo sulle previsioni iniziali ecco che "Steadman's Wake" giunge alle stampe nella seconda metà del 2021
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L'album vede i Connells in buona forma: il sound è ancora quello, la voce di MacMillan regge bene il tempo trascorso, la penna di Mike Connell si mostra come sempre delicata e riconoscibile. Agli undici pezzi del disco, otto inediti e tre reincisioni, manca senz'altro l'irruenza degli esordi - ma quella a dire il vero mancava da ben prima della ventennale pausa creativa. Al suo posto, e l'elemento di interesse sta forse qui, si trova invece uno sguardo consapevolmente riflessivo, in linea col luminoso spleen che marcava l'indimenticabile "'74-'75", massima hit della loro carriera.
C'è tanto organo Hammond e un bel po' di Mellotron ad alimentare, accanto al consueto jingle-jangle, il mood pensoso delle gustose "Fading In (Hardy)", "Gladiator Heart" (dal precedente "Old School Dropouts"), "Stars". Ed è un più che convincente ricordo della robustezza chitarristica di un tempo a rendere dinamiche e coinvolgenti le due canzoni che aprono e chiudono il disco, l'energica "Really Great" e la più pacata (ma comunque trascinante) "Helium". Ci hanno messo parecchio a tornare in pista, ma hanno voluto fare le cose per bene.
Senza particolari picchi né particolari cedimenti, "Steadman's Wake" è un ritorno che soddisferà i fan storici e lascerà indifferenti gli altri. Ma d'altronde, con ogni probabilità, saranno solo i primi a interessarsi al disco. Bene così, insomma.
(18/11/2021)