Davanti all’inarrestabile evoluzione di un genere musicale (in questo caso il black metal), c’è sempre spazio per la nostalgia, soprattutto se ci riferiamo a una scena di primaria importanza come quella norvegese. Mai come in questo caso il termine nostalgia ha un duplice significato, poiché oltre a permetterci di rievocare le atmosfere magiche della second wave, si pone anche come tramite unico tra noi ascoltatori e una dimensione puramente underground legata a queste sonorità.
Dunque, che cosa accade oggi in Norvegia, al di là dei grandi nomi da anni sulla bocca di tutti? Di realtà estreme in qualche modo ancorate al passato ne sono spuntate diverse negli ultimi anni, possiamo menzionare i Mork, gli Svikt, lo sconosciuto ma ottimo Moldé Volhal o alcune band condensate nella sempre attiva e oscura scena di Trondheim. Poi ci sono i Djevel, sette album (incluso questo) in soli dodici anni di esistenza. Un trio proveniente da Oslo nel quale milita dal 2017 Bård Eithun aka Faust, un tempo batterista degli Emperor prima di finire in carcere per l’omicidio di un omosessuale a Lillehammer (curiosamente, la cronaca nera funge da perfetto collante tra passato e presente, rievocando episodi e personaggi che loro malgrado hanno costruito l’immaginario maledetto del genere).
Da “Tanker Som Rir Natten” (letteralmente: pensieri che cavalcano la notte) non dobbiamo attenderci nulla di innovativo, a cominciare da una copertina già vista mille volte (può tornare subito in mente “Panzerfaust” dei Darkthrone). Non resta dunque che tuffarsi nel cuore di queste sonorità gelide e alienanti, il cui biglietto da visita è affidato all’evocativa “Englene Som Falt Ned I Min Seng, Skal Jeg Sette Fri Med Brukne Vinger Og Torneglorier”, nove minuti abbondanti che pescano a piene mani dal repertorio di gente come Taake, Kvist o dai primissimi Ulver e Satyricon.
Qui non si tratta di trovare qualche spunto originale, perché l’unico diversivo è rappresentato dalla breve parentesi acustica presente nella title track o in qualche midtempo degno dei vecchi Darkthrone (con “En Krone For Et Øie Som Ser Alt, Tusind Torner For En Sønn Som Var Alt” si ripassa ancora da “Panzerfaust”, seppur ripulito da quella carica primordiale qui molto meno marcata).
I Djevel però ci sanno fare e lo hanno dimostrato appieno accumulando nel tempo una serie di lavori di buona fattura, chi apprezza dunque il black metal norvegese nella sua cosiddetta veste true qui troverà pane per i suoi denti: non a caso, il riff epico e cadenzato che apre la conclusiva “Vinger Som Tok Oss Over En Brennende Himmel, Vinger Som Tok Oss Hjem” vale da solo l’acquisto dell’album, un prodotto che rispetto alle precedenti esperienze predilige maggiormente le atmosfere evocative alla velocità di esecuzione o a un mood generale puramente misantropico. Suggestioni nordiche servite su un piatto d’argento. Per una volta, viva la nostalgia.
20/05/2021