Kampala, capitale dell’Uganda, è da qualche anno sulla mappa degli appassionati di musica elettronica & dintorni, nonostante l’apparente lontananza dalle piazze che contano. Potenza della globalizzazione e della Rete. Etichette quali Hakuna Kulala e Nyege Nyege sono le label di punta della scena ugandese, con la seconda responsabile anche dell’organizzazione dell’omonimo festival che ha fatto incuriosire non pochi artisti stranieri. Tra questi, il giapponese Shigeru Ishihara, alias DJ Scotch Egg, che dopo avervi preso parte nel 2019 non ha resistito a quell’atmosfera eccitante e si è dato da fare per tradurre impressioni ed emozioni in questo “Tewari”, non prima però di aver indossato una maschera nuova di zecca, Scotch Rolex, in omaggio al popolare street food locale.
In “Tewari”, Ishihara mette alla prova il suo background fatto di breakcore, gabber e chiptune, amalgamandolo con tutta una serie di sonorità che vanno dalla deconstructed club all’hip-hop sperimentale, dall’industrial al trap-metal, passando per il dancehall, il Gqom (un’evoluzione minimale e ruvida dell’house sudafricana) e persino il death-metal in odore di grindcore! Tra le inflessioni dub, che trasformano la scorza trap di “Omuzira” in un incubo metropolitano (la nigeriana MC Yallah al microfono: sarà on fire anche su “Juice”) e la techno oscura virata deathgrind di “Lapis Lazuli”, sfilano una manciata di brani che non sanno cosa significhi "annoiarsi".
Lenta e ipnotica, “Success” è trafitta dal growl strozzato di Lord Spikeheart, che probabilmente molti di voi già conosceranno come co-responsabile del progetto Duma. “Afro-Samurai” potrebbe, invece, essere l’istantanea più immediata dell’attuale dimensione sonora del dj nipponico, grazie al suo connubio di pulsazioni incessanti, gridolini isterici, scenari post-industriali e sudari dronici che, nelle retrovie, s’impongono come spettri portatori di inquietudine, la stessa che si percepisce dietro le trame strumentali di una “U.T.B. 88” in cui l’Africa diventa un'immensa catena di montaggio.
Laddove la title track esibisce una muscolatura trap/chiptune che nasconde a malapena un’anima sinistra e “Sniper” esce dalle casse con i suoi bombardamenti a singhiozzo e le sue urla demoniache (ancora Lord Spikeheart alle prese con l’Orrore della propria ugola), “Wa Kalebule” scivola via con l’ossessività di un congegno breakcore che mira alla realizzazione di un afro-beat futurista. Solo altrove, forse, si può provare a ballare questa musica senza il rischio di diventare schizofrenici e, per la precisione, con il tribalismo vagamente androide di “Cheza” e quello che strizza l’occhio a The Bug di “Nfulula Biswa”.
22/09/2021