Wojciech Sosnowski, in arte Sokół, è nato e cresciuto a Varsavia, in un ambiente in cui l’arte è sempre stata centrale. Figlio di Jan Sokół, che negli anni Ottanta scrisse testi per l’importante band synth-pop locale Papa Dance, e nipote del pittore surrealista Leszek Sokół, fra i suoi antenati, da parte della madre, figura Stanisław Wyspiański (1869-1907), uno dei più grandi intellettuali polacchi della storia: poeta, drammaturgo, pittore, eminenza il cui lascito viene studiato sin dalla scuola dell’obbligo.
Se in sostanza non ha avuto difficoltà a inserirsi negli ambienti che contano, sarebbe d’altro canto ingiusto accusarlo di essersi ritrovato con la strada spianata: la storia è infatti piena di figli d’eccezione che deludono le aspettative.
Non è il suo caso, che oltre a un’indiscutibile sensibilità artistica, ha dimostrato un notevole senso per gli affari: attivo dalla fine negli anni Novanta, si è imposto come rapper, stilista e discografico di successo. È inoltre parte del direttivo della Zpav (Associazione dei Produttori Audio-Video), equivalente polacco della Siae.
Prima di diventare solista ha fondato alcuni fra i più importanti gruppi hip-hop locali, quali Zip Skład, Wwo e Tpwc, con i quali ha pubblicato complessivamente otto album dal 1999 al 2009. In particolare, “We własnej osobie” (2002) dei Wwo è oggi considerato uno dei più importanti dischi polacchi del nuovo millennio, con i suoi testi socialmente impegnati e le basi strumentali portatrici di un boom bap dalle atmosfere notturne, nei cui vortici di campionamenti vengono frullati jazz, soul, folk, opera e strati d’elettronica ambientale.
A partire dal 2011 ha quindi pubblicato due album condivisi con la cantante pop soul Marysia Starosta, un progetto in cui ha musicato i versi del poeta Tadeusz Różewicz, e finalmente, nel 2019, “Wojtek Sokół”, il primo disco esclusivamente a suo nome, che si è rivelato anche il più grande successo della carriera, sfiorando le 100mila copie vendute.
A due anni di distanza, torna con un un’opera che riprende il discorso dove era stato interrotto e al contempo riesce a fare un vistoso passo avanti.
“Wojtek Sokół” tornava alle atmosfere cupe da sempre care all’autore, con basi che lo vedevano però aggiornarsi a quella corrente di musica elettronica emersa nel sottobosco virtuale nell’ultimo decennio e denominata wave music: una sorta di sorella dark e fantascientifica del cloud rap, segnata non di rado da influenze dubstep e grime.
“Nic” prosegue l’esperimento, ma espande ulteriormente la palette, mostrando un artista che a quarantaquattro anni sembra ancora capace di parlare il linguaggio dell’attualità, sposando sperimentazione e successo (debutto al numero 1 e disco di platino dopo due settimane).
“Zorro” ha un ritmo lento e ipnotico, messo a contrasto con un rapido arpeggio electropop, “Burza” è hip-house con linea di basso satura, “Jak urosnę” un ibrido fra trap e ambient-pop, con un coro di bambini una volta tanto non stucchevole, “Wkraczając w pustkę” un tenue dubstep d’atmosfera, “Płaczemy pięścią w stół” un’inquietante witch house, mentre “Nie było już nic” poggia su malinconici tocchi pianistici, a ricordare l’ormai lontana era boom bap, che appare come un miraggio offuscato nella nebbia.
Non un minestrone, ma un disco anzi particolarmente unitario, in cui la varietà stilistica è omogeneizzata da precise direttive a livello timbrico, che mirano a far rientrare tutto nel già citato alveo della wave music. Se quasi ogni brano è prodotto da un beatmaker diverso, il mixaggio e il reparto fonico sono stati curati per intero da Rafał Smoleń, uno dei più esperti che ci siano oggi in Polonia, parimenti capace con rock, hip-hop, jazz e classica.
Ci sono poi ulteriori accortezze, che mirano a tracciare un filo rosso lungo la scaletta: “Jak urosnę” non è infatti l’unico brano a puntare sull’elemento corale. L’ansiogeno horrorcore di “Nic” è scandito da un gruppo di voci maschili dal sapore marziale, mentre il downtempo noir di “Jednorożec” è sorretto da vellutate voci femminili.
Va infine segnalato un gruppo di brani, forse il migliore del lotto, che si tuffa nella synthwave: ecco allora le trionfali tastiere retrofuturistiche di “Plastikowy tulipan”, “After” e “52Hz” proiettare l’immaginario su sfondi di neon viola e soli cibernetici al tramonto. Timbri che, magari meno esplicitamente, fanno capolino un po’ lungo tutta la scaletta, contribuendo alla sua unitarietà.
È uno sfondo perfetto su cui basare il classico flow di Sokół, che rifugge l’autotune (concesso, con parsimonia, giusto a qualche ospite), mentre scende in strada per narrare la vita di quella parte della Polonia suburbana, quella più povera e violenta, che l’autore – a dispetto dei suoi natali – ha frequentato per decenni.
30/12/2021