Well-wrought this wall: Weirds broke it.
The stronghold burst...
Snapped rooftrees, towers fallen,
The work of the Giants, the stonesmiths, mouldereth
Il folk britannico non ha mai conosciuto musica come quella degli
Stick In The Wheel. Ispida, innaturale, talvolta perfino dolorosa. In sei anni di carriera discografica, hanno rilanciato il linguaggio della folktronica, mandato in visibilio la critica musicale settoriale così come quella indie, messo in discussione l'implicita riluttanza del
Celtic folk ai cambiamenti sonori che si presentano senza bussare.
Ma non si erano mai spinti così in là. Con "Tonebeds For Poetry" il duo londinese Nicola Kearey-Ian Carter mette in chiaro che l'etichetta di "folk tradizionale" gli sta assai stretta. Presentato come "mixtape" - il terzo dopo "This And The Memory Of This" e "Against The Loathsome Beyond", rispettivamente del 2018 e del 2019 - il disco è un guazzabuglio di frammenti poetici e filastrocche deturpate, inframezzate di
found sound riprocessati e assalti elettronici
free-form. Hanno esagerato? Forse. Ma andiamo con ordine.
Gli ingredienti. Melodie secolari: "The Cuckoo" (brano
413 del catalogo Roud) è attestata almeno dal 1812, "Blind Beggar" (
Roud 132) dal 1709, "The Devil's Nag" è una
danza del Seicento attribuita al compositore John Playford. Poesie ancora più antiche: "
The Seafarer" rimaneggia un componimento tratto dal Libro di Exeter, uno dei pochissimi manoscritti in
Old English pervenuti alla modernità; sia "Ruins" che la conclusiva "Wierds Broke It" macinano stralci di un altro testo dallo stesso compendio, "
The Ruin", risalente all'Ottavo o al Nono secolo e riguardante meraviglia e desolazione di fronte alle rovine di una città decaduta (forse Bath). E poi: loop,
glitch,
autotune, elettronica irruenta e di frequente sgraziata, ampi passaggi
spoken word, distorsioni fragorose, droni,
feedback. Si era detto di "The Devil's Nag", no? È proposta in forma di
midi accelerato e condito di
beat fino a farne un pezzo
acid techno. Ed è uno degli episodi più melodici. Metà buona delle tracce non offre alcun appiglio.
Sono impazziti? Prendono in giro? Guardiamo ai risultati. Visto come raccolta di canzoni, "Tonebeds For Poetry" non è un granché. La band ha prodotto di meglio - o per essere più precisi: quando ha voluto incidere dischi di belle canzoni, lo ha fatto (si vedano "
Follow Them True" e "
Hold Fast"). Preso invece come viaggio, l'album è altra cosa. Un viaggio nel tempo, nel suono: familiare e alieno che si avviluppano, solide certezze melodiche disgregate dal rumore o affogate nell'
autotune, colate di effettistica da cui emergono spettri di passato e futuro.
È piena di pezzi inutili, questa tracklist. Peggio: brutti. Che farsene di "Stroud Green Sentinel", un minuto e otto secondi di - boh, elicottero? - interrotti bruscamente per aprire ai fischi lancinanti di "Carter's Peal"? Eppure l'ascolto fila, ogni martoriamento acustico è appagato da una qualche cantilena trasfigurata, e il tutto disegna un flusso sonoro in cui l'atmosfera si stratifica brandello dopo brandello. Fino a giungere, non senza arresti e avvitamenti, alla conclusiva "Wierds Broke It".
Lo-fi doom travolto dal digitale, ponte tra gli stili e le epoche, pesce fuor d'acqua anche in un album centrifugo come questo. E, forse proprio per ciò, brano più sorprendente e rappresentativo della folle scommessa degli Stick In The Wheel.
Che le affascinanti architetture del folk, sottoposte a una simile ridda di stranezze e avversità (
weirds/wierds), possano non rompersi ma coprirsi di nuova vita?
01/10/2021