Ai The Armed è sempre piaciuto giocare con le proprie copertine, sempre ossimoriche, esordio a parte, verso il loro cacofonico e virulento mix di post-hardcore, math-core e noise. Se vi ci siete imbattuti, quella di “Untitled” del 2015, con sopra quel surrogato di Bowie versione “Aladdin Sane” pelato e fumante, sicuro che non ve la siete dimenticata. Quella di “Only Love” di due anni fa sembra invece più adatta a un disco soul da seconda serata, trip-hop, o forse addirittura ambient-techno – insomma, ci siamo capiti.
L’artwork di questo quarto disco fa ancora meglio, o peggio, a seconda dei punti di vista. Tanto che, rastrellando le sue sezioni d’elezione di un negozio di dischi, un appassionato di post-hardcore e brutalità assortite che non li conosca rischierebbe di pensare al nuovo disco di Frank Ocean, The Weeknd o giù di lì, scivolato per caso sullo scaffale sbagliato.
Completa l’opera un titolo che è tutto un programma: “ULTRAPOP”.
Uno scherzo tirato da un manipolo di (a partire da “ULTRAPOP”) ben otto scappati da circo, o da circhi diversi (date un’occhiata a qualche esibizione live della band, soluzione molto più pratica di un mio tentativo di descrivere cotanta allegra e variegata combriccola). O forse no, o perlomeno non del tutto. Il quarto disco del collettivo di Detroit in realtà di pop ne è pieno. Si tratta però di detriti. Rimasugli di un’epoca altra, tranciati, schiacciati e ammassati dopo che vi è passato su lo Snowpiercer, in un futuro in cui la profezia oscura di Matrix ha drenato l’umanità e la Terra. Una cascata di elettronica celestiale che si fa spazio tra i possenti beat industrial dell’opener, frattaglie di un ritornello che abbaiano nell’apocalisse mathcore “ALL FUTURES”, residui di un cantato indie che si sostituiscono temporaneamente a growl e urla martiri da scuoiati vivi nell’ammiccante “AN ITERATION”, nell’ironica e velenosa “AVERAGE DEATH” e nella folle “BAD SELECTION”, che affoga degli scanzonati allelujah in un deliquio post-digitale à-la Atari Teenage Riot.
Chi di pop, anche se ben stuprato e sventrato come lo si ascolta nelle succitate tracce, non ne vuol sentir parlare si farà ingoiare e risputare invece con gran gusto da un tornado math-core intitolato “MASUNAGA VAPORS”, dal drumming impietoso e mutageno di “WHERE MAN KNOWS WANT” o dal post-hardcore ruggente dell’infuocata “REAL FOLK BLUES”.
Chiude la truculenta rassegna un requiem industriale intitolato “THE MUSIC BECAME A SKULL”, con il vocione di Mark Lanegan ad aggirarsi in un cimitero di chip e processori bruciati. L’ospitata suona come suggello e benedizione a una band giunta alla piena maturità senza perdere un grammo di follia o cedere nulla di una visione e di un sound estremi e intransigenti come il futuro distopico che evocano.
20/04/2021