Tyler, The Creator – moniker di Tyler Okonma – si trasforma ulteriormente in Sir (Charles) Baudelaire, evoluzione del precedente alter-ego Igor, e racconta le sue peripezie da flâneur in giro per il mondo. Per questa immaginifica occasione, confeziona un settimo album – se includiamo anche il mixtape di debutto “Bastard” (Odd Future, 2009) – di fantasioso jazz-rap intarsiato di soul, funk e synth-pop, generi frequentati nelle sue produzioni più recenti che si condensano in brani come “LEMONHEAD”.
Musicista, vocalist, produttore e stilista, Tyler è diventato a tutti gli effetti un personaggio chiave della pop culture americana contemporanea, non solo per aver raggiunto la vetta delle classifiche col precedente “IGOR” (Columbia, 2019), ma anche per aver avviato un brand di moda, un festival e per comparire frequentemente nei media, tra serie tv, show e videogame: Tyler, The Personae.
Sorprendentemente, sceglie proprio questo momento di celebrità per scrivere un album denso ed estroso, invece di giocare facile e incassare i frutti del successo con un nuovo “IGOR”.
Anticipato da una campagna transmediale fatta di cartelloni stradali, telefonate, messaggi “in segreteria” e Twitter, “CALL ME IF YOU GET LOST” è un album di musica suonata, un caleidoscopio strumentale ricco di sintetizzatori, fiati, cori, groove di batteria e loop di ogni specie, che colorano di riferimenti a decenni diversi gli arrangiamenti dell’album, in una forbice che va dagli anni Sessanta a oggi, passando significativamente per gli anni Novanta.
Il rapper californiano riprende in mano tutto quello che ha imparato e prodotto in musica, fin dai tempi del collettivo hip-hop Odd Future (con Frank Ocean e Earl Sweatshirt), si contorna di collaboratori d'eccezione (DJ Drama, 42 Dugg, Lil Wayne, Pharell Williams, Lil Uzi Vert, DAISY WORLD, Tees Touchdown, Domo Genesis, YoungBoy Never Broke Again) e realizza un compendio esplosivo della sua carriera e dei generi che animano oggi la musica black, passando dalla rilettura tutta personale della trap di “RUNITUP” al soul sensuale e malinconico di “SWEET/ I THOUGHT YOU WANTED TO DANCE ”, tra Marvin Gaye e Prince, che si trasforma in un brano reggae. Con “JUGGERNAUT” ricollega il più recente Kendrick Lamar con Timbaland attraverso Pharrell Williams: è uno sfoggio della propria abilità di ibridare e reinterpretare l'hip-hop come un continuum.
Assembla tutto l'album con febbrile intensità, così che convivano più brani in ogni traccia e il flusso sonoro sia continuo, nonostante i frequenti beat-switch, i cambi di flow e delivery e l'assortimento di voci aggiuntive che intervengono.
In un pezzo esplosivo come “MANIFESTO”, accompagnato da cori che richiamano le tradizionali melodie bulgare, Tyler marca la matrice “West Coast” del suo alt-rap:
She followed your granny, she obeyed master
Did y'all even ask her? Questions, it's holes in them stories
Is it, holes in your blessings? Yeah, I'm bold with the message
I know I ain't got the answer
But I ain't gon' cheerlead with y'all just to be a dancer
I'ma groove to my own drums, sunlight in my shadow, baby
Move 'til my soul comes, let them serpents rattle, baby
Con la lunga “WILSHIRE” sceglie un approccio laid-back che accoppia alla vena abstract di Aesop Rock per poi giungere, con la festa di fiati di “SAFARI”, a chiudere un album spassoso, eclettico e mai noioso, che si distingue in una discografia sempre più interessante. Chi l'avesse trascurato fino a oggi colga l'occasione per porre rimedio.
01/07/2021