Lo chiamano Igor, quel personaggio-stereotipo che nella fiction dell’orrore compare sovente come aiutante dell'antagonista. Spesso rappresentato come deforme stupido e meschino, Igor è un individuo cupo e che se ne sta nelle retrovie a congiurare, pensato e caratterizzato proprio col fine di suscitare antipatia, quando non ribrezzo, nello spettatore. E dopo essere stato (nell’ordine) un
Bastardo, un
Goblin, un
Lupo, una “Cherry Bomb” e un
Flower Boy, ora
Tyler, The Creator è Igor. Ma in che senso?
Il sesto disco del rapper losangelino di scuola
Odd Future è un
concept-album su una storia d’amore tra tre persone: Tyler, il suo fidanzato e la ragazza che si metterà in mezzo tra i due, ponendo fine alla loro relazione. Tyler racconta per passi l’intero arco narrativo, con le prime canzoni della
tracklist dedicate all’incontro e all’innamoramento, per arrivare alla rottura e infine alla stoica accettazione di quanto le relazioni, allo stesso modo di come nascono, finiscono. Ed è proprio quando a Tyler viene sottratto l’amore che egli diventa Igor, impotente e costretto a osservare nella penombra la nuova coppia nata sulle ceneri del suo cuore.
Il taglio ambizioso che caratterizza il
concept è accompagnato da un’evidente teatralità degli arrangiamenti e delle stesse composizioni, praticamente delle mini-rapsodie R&B. Estremizzando la ricerca messa in atto col precedente “
Flower Boy” (tuttora il suo miglior lavoro), Tyler smette i panni del rapper e veste quelli del cantautore eclettico, come una sorta di
Frank Ocean più
naïf ed estroverso. Canta e sperimenta con la voce, modificandone la tonalità dalla più oscura alla più adolescenziale, passando dal rap più cupo al
crooning più gaio, con tutte le vie di mezzo. Gli ospiti sono molti, e decisamente blasonati: tra i nomi più altisonanti troviamo lo stesso Ocean (anch'egli prodotto del vivavio Odd Future),
Kanye West, A$AP Rocky e
Dev Hynes. Sono tutti elementi, questi, che sembrerebbero preludere a un album quantomeno memorabile.
Il problema, però, è che “IGOR” annoia, e annoia parecchio. Si parte con dei pirotecnici quanto innocui sfarfallii di synth di memoria
new wave (“IGOR'S THEME"), segue un singoletto soul-pop di scarsa inventiva (“EARFQUAKE”) e così per il primo sussulto si deve aspettare il terzo brano, “THIS TIME”: un denso funky al neon nel buio del caos, il colpo di fulmine che rapisce (“I think I’m falling in love/ This time I think it’s for real”). I brani migliori giungono a salti: ogni due passi falsi, circa, ne arriva uno degno di nota. È così per “NEW MAGIC WAND” e le sue basse tese e propulsive, squarciate nel mezzo da un’elegante apertura
jazzy (che nostalgia, la prima Odd Future!); oltre che per le telluriche vibrazioni
grime di “WHAT'S GOOD” e il suo
break di vigorosi bassoni electro.
“GONE GONE / THANK YOU” è un
kiss-off che vira su un retro-pop in Vhs sull'onda di
Ariel Pink, per una scelta spiazzante e che di certo sorprende in positivo. Non si può ignorare, poi, il morbido e dolente epilogo, affidato a “ARE WE STILL FRIENDS?”, dove Tyler abbandona l’
autotune per riscoprire il calore della sua voce stonata. Sfortunatamente, durante le restanti canzoni, tutte ovattate nel solito R&B sintetico e monocolore e povero di spunti, si rischia di tirare qualche sbadiglio di troppo.
Il Tyler di “IGOR” sgomita per mostrarsi nel suo eclettismo, ma ciò che arriva è per lo più una musica tirata a lucido, normalizzata, che funziona davvero solo a sprazzi, lasciando per il resto molti dubbi e perplessità. Sono troppe le uscite a vuoto e troppi i momenti morti per un artista che in passato sapeva tenerci con le orecchie tese nel (vano) tentativo di stare al passo con la sua schizofrenia. Ora va tutto bene, è tutto lì, palese; come è palese che qualcosa, ahimè, sia andato perso.
29/07/2019