L’affascinante percorso di Laura Loriga ha probabilmente raggiunto lo zenit.
“Vever” è il titolo della nuova prova della cantautrice e compositrice bolognese, ormai trapiantata da anni tra Los Angeles e New York.
"Vever" è un’opera avant-folk decisamente complessa, comandata con grande classe dall’artista mediante varie chiavi, tra loro antitetiche. Le frequenze modulate della sua voce sono una guida evocativa che pilota il continuo flusso di stratagemmi musicali, talvolta oscuri.
La virtuosa esperienza con i Mimes Of Wine aveva messo in risalto una certa transizione stilistica della Loriga, che nel corso dei tre dischi pubblicati tra il 2009 e il 2016 aveva progressivamente spostato il suo approccio verso zone più confidenziali, sempre più distanti dalla classica forma canzone. Una personale ricerca non solo di contenuti ma anche sonora, che dall’iniziale rapporto cardine voce/pianoforte ha registrato un arricchimento strumentale che ha coinvolto archi, fiati, organo (l’autentico protagonista di queste nove tracce), per arrivare all’uso di drone, sintetizzatori, mellotron, harmonium e inconsueti strumenti cordofoni.
Inalveando ascendenze provenienti da Low, Circuit des Yeux, Sibylle Baier, come da Jenny Hval e negli approcci indie-pop a Fiona Apple, Laura crea paesaggi sonori mutevoli, i cui testi sono spesso derivazioni di esperienze e persone a lei vicine. In un certo senso, “Vever” può definirsi un disco intimista, ma, come ben espresso dalla stessa artista, la costante condivisione delle proprie idee con una pletora di musicisti di rango come Otto Hauser, Ran Livneh, Josh Werner, Anni Rossi e Stefano Michelotti a cui si sono aggiunti i featuring di ulteriori professionisti quali Enrico Pasini, Jaye Bartell, Janis Brenner, Gareth Dickson e Ofir Ganon, l’hanno spinta alla continua revisione della proposta iniziale, proiettandola verso territori originariamente non programmabili.
Il trittico d’esordio è quanto di più esplicativo si possa accogliere: episodi come “Door Ajar”, mistica e incisiva, l’opener “Mimi”, perfetta commistione tra la splendida voce della Loriga e la potenza degli arrangiamenti, e la spiccata sensualità di “Balmaha” consentono l’accesso a levigati mondi ancestrali che sembrano viaggiare in simbiosi con spigolose sensazioni più attuali.
In questo incalzante dialogo, si staglia prepotentemente la relazione tra organo e voce, che pur restando in ambiti di diffusa eleganza, si appropria del medesimo grado d’intensità regalato da Anna von Hausswolff.
L’epicità raccolta in “Citizens” regala afflati à-la Florence Welch, una cornucopia di pura classe, impreziosita dalla tromba di Enrico Pasini e dilaniata da intarsi acustici tanto paradossali quanto efficaci. Nel singolo “August Bells”, l’onnipresente organo si contrappone alle linee melodiche di chitarra, con l’aggiunta di fragranze psichedeliche che perseverano nell’ampliare il già gremito catalogo. C’è spazio per la melodia in “Black Rose, un luogo di finta delicatezza dove la compositrice si avvicina alle tipicità dolenti della grande Beth Gibbons.
Inquietante ed espressiva, la musica di Laura Loriga è uno stratificato tappeto musivo, che desta sorprendente interesse per profondità e laboriosità d’intenti. “Vever” è un lavoro che fa della sperimentazione e della ricerca il proprio vessillo, trascendendo da asettiche catalogazioni di genere. Un’oscurità strutturale che non inficia in alcun modo l’immediata attrazione per questi fraseggi e proietta l’ambiziosa cantautrice nell’olimpo delle sorprese più affascinanti di quest’anno.
24/06/2022