Unendo un gusto per la tradizione americana a una verve pop che si traduce in singoli dall'irresistibile appeal radiofonico ("Ho-Hey", "Stubborn Love", "Ophelia"), nello scorso decennio e nel giro di tre dischi i Lumineers sono diventati la band indie-folk più famosa del globo. Unici contendenti al trono: i più rustici ma altrettanto orecchiabili cugini inglesi Mumford & Sons.
Inutile scomodare infatti realtà annotabili sotto la stessa nomenclatura ombrello, l'indie-folk, quali Father John Misty o i Fleet Foxes, poiché i Lumineers giocano praticamente un altro sport, dedito ai ritornelli facili facili, ai passaggi radiofonici e ai fortunati inserimenti in serie tv da milioni di spettatori.
Dopo due dischi ("The Lumineers" del 2012 e "Cleopatra" del 2016, quest'ultimo numero 1 sia in Uk che negli Usa) riusciti proprio perché consci della propria essenza, nel 2016 la creatività della band di Denver iniziò a mostrare la corda in un terzo capitolo intitolato "III", serioso e troppo inclinato verso l'Americana più pura, non proprio un territorio agevole per quelli che in fondo sono poco più che tre buoni autori di canzoni pop.
Più leggero e luminoso, a tratti volutamente fragoroso (con il frontman Wesley Schultz a imbracciare la chitarra elettrica molto più che in passato e più del suo amato pianoforte), questo quarto Lp intitolato "Brightside" si riscatta in parte dalla boria del predecessore, pur sottolineando (specie nella sua seconda, stanca metà) i limiti creativi della formazione.
L'inappuntabile produzione affidata a Simone Felice (The Felice Brothers) e l'apporto a numerosi strumenti di musicisti straordinari come James Felice (ancora dei Felice Brothers), Byron Isaacs e Lauren Jacobson offrono ai brani vesti sgargianti e il tono epico utile a fare funzionare a dovere epopee on the road come la title track o l'innodica "A.M. Radio".
Decisamente riuscita anche l'onesta "Big Shot", cantata da Schultz in quel crescendo dolce e appassionato che è diventato il suo marchio di fabbrica.
Ben più trascurabile, se non come innocuo sottofondo, tutto quanto viene dopo. Con il brano finale "Reprise" a far raggiungere al disco i trenta minuti di durata riprendendo il giro melodico e il ritornello della traccia di apertura. Troppo poco per una sufficienza davvero convincente, ma nemmeno lo scatafascio dello scorso disco.
20/01/2022