Ci vuole in verità poco per essere originali, anche in un contesto culturale e sociale che pone punti di riferimento a volte vincolanti. Basta mettere al centro della narrazione il proprio vissuto, cercando di restare indenni alle tentazioni intellettualistiche o in converso alle provocazioni alt-pop.
Tim Bernardes è cresciuto al fianco di
Tom Zé, Gal Costa,
David Byrne,
Devendra Banhart e i
Fleet Foxes, un musicista che continua a non far mistero della cristallina e dolente poetica, che già rese nobili i percorsi artistici di
Caetano Veloso e
Jorge Ben.
L’artista di San Paolo, già membro del trio brasiliano
O Terno, è titolare di un buon esordio solista, “Recomeçar” - 2017, un concentrato
naif di forza e bellezza, che non sembra più aver limiti e confini, in questo prezioso e intenso seguito.
Le mille cose invisibili del nuovo album di Tim Bernardes sono racchiuse in quel capolavoro di musica e poesia di soli 113 secondi che ne introduce le grazie, “Nascer, Viver, Morrer”, incorniciate da una sparuta strumentazione acustica e da una voce che trafigge l’anima.
Nascere - Nascere di nuovo nel bel mezzo della vita, in effetti svegliati e guarda ogni giorno, le cose esistono con forza e magia, e io sono cosciente di quel che sono, voglio e amo e posso e lo farò
Vivere – Vivere, in realtà è possibile, a volte senza nemmeno rendersi conto di essere vivo, a volte al bar, a volte nel bene, nel mondo, nella mente, nel sogno e nell'essere, in quel raro infinito momento da vivere
Morire – Morire della propria essenza, presenza dell'inesistente, del silenzio con il suo spazio enorme, che limita l’imprevisto e la fortuna, ciò dimostra che c'è la vita prima della morte, che unisce e separa il tutto.
Nascere, vivere, morire.
Parole toccanti, semplici forse, ma la magia di “Mil Coisas Invisíveis” è racchiusa nell’abilità del musicista di renderle vive, tangibili, poetiche, a tratti sfuggenti, con un minimo di quella grazia musicale che si è soliti appellare come ispirazione.
Ed ecco ariosi chamber-folk (“Fases”) a suggello di un’infanzia ormai lontana e fonte di malinconia e rimpianti (
Penso che il tempo per noi sia passato, qualcosa è rimasto indietro, e guardare avanti è vano), o arie musicalmente più letterarie e slacciate (“Realmente Lindo”) dove poter sorridere a una improbabile speranza (
Vattene tristezza, per favore, dai, voglio vedermi sorridere).
Il nuovo album di Tim Bernardes non è solo una raccolta di canzoni soavi e di melodie nobilitate dal canto, è qualcosa di più: un impercettibile flusso di poesia ancestrale, intensamente figurativo, teatrale, un innesto accurato di parole e accordi, che ha la forza dei classici e la consapevolezza dei contemporanei.
Ed è facile entrare in sintonia con la solare e romantica bossa nova “BB (Garupa de Moto Amarela)” o con il cantato passionale di “Falta”, due brani che permettono a Tim di raccontare con leggerezza e stile del suo amore per la donna e per la musica. E sono solo sulla carta più avventurose e complicate, le riflessioni dall’ampio respiro politico e sociale di “Meus 26” (
La rovina dei morti viventi del lavoro, che non smettono di non vedere, Rio de Janeiro è ancora bella, ma non sta andando molto bene), parole che il musicista affida a una sezione d’archi struggente e sofferta, prima di rifugiarsi nelle illusioni e nei sogni della splendida sinfonia folk-psych di “Mistificar” (
Tempo di mistificare, è più del sogno stesso, la visione rivelerà, cosa si può vedere, al di là di ciò che c'è, credo nei Beatles).
Se il sospetto che vi assale è quello di un riuscito esercizio calligrafico, è forse giunto il momento di abbandonare velleità da critico e approfondire la profonda natura iconica della musica, quella che ha scandito i momenti più genuini e autentici del nostro essere e pensare. Tim Bernardes parla di quei sentimenti e di quel mondo che tutti noi conosciamo, con uno scarno e sapiente lirismo che non suona ingannevole (la quasi vezzosa “Velha Amiga” e la remissiva “Beleza Eterna”), che poi la sua arte ripercorra le strade di Jorge Ben (“Mesmo Se Você Não Vê”) o Caetano Veloso (la struggente bossa tinta di synth di “Esse Ar”), non è un handicap, ma conseguenza di un sentire comune che da sempre illumina l’arte: da
Bob Dylan ai
Joy Division, dai
Velvet Underground ai
Low, da
Nick Drake a
Matt Elliott.
“Mil Coisas Invisíveis” è un disco oltremodo generoso. Sono molte le canzoni che l’artista lascia in eredità a un anno ricco ma frastornato e incerto, il crescendo di piano e orchestra di “Olha” è intenso e toccante al pari delle parole (
Odio averlo tenuto per me, perché non me l'hai detto?, come siamo giunti a questo punto?, quando è sorto questo muro tra noi due?), mentre le cadenzate armonie ricche di respiro lirico di “Leve” svelano un’ambizione artistica altrove ben celata, con un tripudio di fiati e un energico canto a sottolineare una voglia di riscatto e rinascita (
Prendi, prendi, non piangere più adesso, tutto al sicuro, fai un respiro profondo e guarda, vai piano, prendilo dal cuore).
Non sorprende che a far da compendio sia la splendida “A Balada De Tim Bernardes”, ingenua e schietta quanto basta per suonare autentica e viscerale, un brano dove ogni nota pulsa come il cuore e ogni parola scorre come il sangue, un invito al sogno e alla felicità che cerca conforto nel passato e volge lo sguardo speranzoso al futuro.
"Oggi mi sono svegliato da un bel sogno, mia nonna sorridente, oh, quanto tempo è passato, nonna, non ti ho abbracciato, sarò di nuovo felice, voglio essere più sereno, mi sto prendendo cura di me stesso, sognerò, sognerò ancora una volta".
09/07/2022