Asake (pronunciato "A-sha-keh") è l'indiscusso astro nascente della scena musicale nigeriana attuale. Il suo debutto del 2022, "Mr. Money With The Vibe", accolto con successo clamoroso, ha di fatto inventato un nuovo genere, l'afropiano, nato dalla fusione tra afrobeat e amapiano, una derivazione sudafricana della house music. A questo impianto di base, Asake aggiunge una varietà sconfinata di influenze africane, dal fuji (musica tradizionale Yoruba che prende le origini dai canti musulmani intonati nel periodo del Ramadan e che nel corso del tempo ha accolto influenze jazz al suo interno, fino a raggiungere la massima popolarità negli anni 80 con Wasiu Ayinde Marshall, in arte K1 The Ultimate) al séga (genere nato nelle Mauritius, pregno di improvvisazioni e aneliti spirituali). Il tutto nel segno della cultura Yourba, che deborda con orgoglio sia nella lingua dei testi che nei riferimenti culturali.
"Work Of Art" è il secondo lavoro in due anni per il cantautore nigeriano e qui l'asticella si alza nettamente. Il ghigno da most wanted della copertina del debutto fa posto adesso a una posa bizzarramente artsy, con Asake che gioca a confrontarsi con i Picasso e i Basquiat. Musicalmente Asake di fatto continua la sua personalissima elaborazione di un sound che è del tutto inedito. È panafricanismo che si estende non solo nello spazio geografico, ma anche storicamente, andando a pescare disparate influenze tradizionali e moderne dall'intero continente africano. Tappeti elettronici levigati si mescolano a synth e log drums tipici dell'amapiano, rullanti e ricchi di varietà timbriche. Violini, violoncelli e sax si intercambiano i ruoli per creare un substrato etereo e sognante. Le armonie vocali sono fuori da questo mondo: scordatevi i classici call-and-response, qui i cori vocali intervengono in ogni momento sviluppandosi per accumulazione, euforia e imprevedibilità, diventando a tutti gli effetti parte della strumentazione.
L'album opener "Olorun" è un'invocazione Yoruba di bellezza celestiale: i cori femminili fuori dal tempo, i violini e sax lacrimevoli e l'anelito gospel di Asake mandano il brano in orbita ultraterrena. Il testo riflette sulla struggle che Asake ha portato avanti partendo dagli slum di Lagos per arrivare adesso all'apice del suo successo. "Awodi" mostra tutte le sfaccettature ritmiche che Asake è capace di inserire nello stesso brano. Il beat non segue alcuno schema predefinito, ora ondeggia felpato, ora martella ossessivo. Le armonie vocali insistenti contrastano con le linee atmosferiche del sax. Viene quasi difficile credere che il tutto venga condensato in appena due minuti, come peraltro avviene in quasi tutti i brani. Il singolo "2:30" ha una struttura duale, tra strofa con prepotenti rullate di synth amapiano e ritornello etereo con splendidi violini in sottofondo. "Sunshine" è inno di comunione e solidarietà che si libra su armonizzazioni dal sapore tropicale.
La parte centrale del disco è quella più ritmica: "Basquiat" elabora sul titolo del disco, con il "work of art" che nel testo altri non è se non Asake stesso. "Amapiano" invece è il manifesto programmatico del nuovo suono brevettato da Asake, il momento più spiccatamente pensato per il dancefloor. "What's Up My G" e "Great Guy" si dipanano tra cori senza un attimo di tregua. "I Believe" e "Remember" proseguono le esplorazioni in territori gospel, mentre la bellissima "Lonely At The Top" è pura highlife calata nel 2023. La conclusiva "Yoga" chiude in bellezza, tra evocazioni di riti ancestrali e atmosfere zen di derivazione séga.
"Work Of Art" è per chi scrive il disco più artisticamente avanti prodotto dalla scena nigeriana in questi ultimi anni, scena che comunque ha sfornato diversi lavori validi, vedi "Made In Lagos" di Wizkid, "Boy Alone" di Omah Lay, o "African Giant" di Burna Boy, giusto per citarne alcuni in orbita, benché più orientati a crossover con sonorità occidentali. Già celebrato come un classico in patria, "Work Of Art" elabora con successo una commistione di generi e suggestioni world che in tempi passati era stata declinata impeccabilmente da artisti come Lagbaja (il cui capolavoro "C'Est Un African Thing" del 1996 aveva la medesima ambizione di unificare Africa antica e moderna). Oggi tale operazione la vediamo ripetuta in C. Tangana per il mondo latino, o in Stromae per quello francofono.
È una giostra di suoni, colori, emozioni che rende il disco un'esperienza euforica. In altre parole, un trionfo.
22/06/2023