Erotica l'arte di Desire Marea lo è sempre stata, con una sfrontatezza e un'onestà che hanno quasi del prodigioso, se si considera il contesto in cui si inseriscono. Spirituale pure, per quanto ben più in filigrana e con un'istintività non pienamente maturata. Galeotto è stato un lungo percorso di formazione per diventare sangoma, guaritore spirituale legato alle culture dei popoli Nguni, perché i due aspetti della ricerca artistica del musicista sudafricano trovassero un punto di convergenza e cominciassero a dialogare realmente tra loro. Il risultato? Gli otto brani che compongono "On The Romance Of Being", secondo album dell'artista e secondo enorme balzo in avanti nell'esplorazione di una voce creativa pienamente libera, pronta a stravolgersi se la vita o meglio ancora il divino bussano alla porta.
Gqom? Post-club? Non è questo il luogo opportuno per consumare i propri desideri in discoteca: montagne e oceani, cieli e immensità dominano un macrocosmo di proporzioni vertiginose, a cui il suono, rivoltato a partire dall'organico, si adegua con maestosa docilità.
Ad avere ascoltato i due estratti era chiaro che si prospettava un lauto banchetto. "Be Free" rimprovera un amante troppo pavido per abbracciare la vita e la pienezza dell'amore, reggendosi su un tempestoso groove di basso e uno scatenato uso della sezione ritmica. Poderosi accompagnamenti di chitarra e un impianto corale innervano di dramma la composizione, quasi come se nei suoi cinque minuti e mezzo si volesse inscenare un'opera rock in miniatura (l'intenso clip girato per l'occasione corrobora l'impressione). Verso l'opera, ma in senso jazz, vira invece "Rah", fili di violino e basso a reggere un canto che si fa puro dolore, nei confronti di una natura deturpata, come una madre privata ormai anche delle lacrime per piangere.
Sono le voci ad essere qui le vere protagoniste, un alternarsi di maschile e femminile (l'autrice Zoë Modiga e l'interprete lirica Ann Masina completano il quadro) che si fa sofferta invocazione, salmo in lingua zulu, pronto a perdersi nel dubbio e nella confusione.
Descritta dagli angoli che i due brani tracciano, la ricerca sonora dell'album si muove liberamente in uno spazio che combina le indagini di Pharoah Sanders e Don Cherry con lo strisciante nervosismo del rock anni Ottanta, l'eterno sapere dei canti della tradizione con lunghe coltri sintetiche. Carne e anima che si fanno una cosa sola, un'unione di intenti a cui non interessa conoscere, preme piuttosto sentire. Marea gioca benissimo le sue carte, la sua comunione di sensuale e spirituale si fa ora preghiera (l'esaltante ostinato "I wanna see you levitate" immortala il poderoso crescendo operatico di "Ezulwini", ballad pianistica capace di trasformarsi in trionfante sinfonia prog) ora resoconto di un desiderio irrefrenabile ("Mfula", a suo modo un'interpretazione glam delle tradizioni nguni, affidate a un turbolento genio ritmico), senza mai perdere in fervore, piuttosto evidenziando i punti in contatto di sfere della vita tutt'altro che inconciliabili.
Sfruttando appieno l'impatto di una band di tredici elementi, Desire il guaritore e Desire il musicista diventano tutt'uno, anche a costo di retrocedere, di soccombere a limiti invalicabili. In questa profonda comprensione della propria umanità giace il senso più intimo di una raccolta che respira ad ampie boccate tutta la sua libertà, il suo glorioso incedere. Arrivare a "Banzi", con la sua suddivisione tripartita, il lungo sipario in preda alla trance, la struttura liquida, potentemente free, equivale a rendersi parte cosciente di un oceano di connessioni, la rivelazione di una luce che non ha bisogno di troppe parole per giungere a destinazione. "Nawa ama shoba": il destino di Marea si è svelato, il ponte è stato gettato, non resta che schiudersi pienamente al mondo, abbracciarlo con tutto l'amore possibile. Se questo non è romanticismo...
14/04/2023