La robusta e storicamente rilevante concettualità degli album di Matana Roberts ha per un decennio affascinato pubblico e critica, ammaliati dalla sempre più radicale e complessa ricerca delle radici afroamericane e dalla non agevole scelta di raccontare la storia del suo popolo con un’epica tanto intensa quanto diversa, a tratti perfino ostica, al pari delle esternazioni più sperimentali degli Art Ensemble Of Chicago.
A quattro anni dal capitolo numero 4, la serie di album denominati Coin Coin si arricchisce di un nuovo episodio: “Coin Coin Chapter Five: In The Garden...”.
Nell’eccitante rappresentazione musicale, teatrale, letteraria e intellettuale del progetto di Matana Roberts, l’album si contraddistingue per la diversa prospettiva e le non ordinarie premesse. Diversamente dagli album precedenti, che facevano riferimento a un luogo geografico ben preciso – Louisiana, Mississippi, Memphis – o alla vicende personali dell’autrice, il nuovo disco rinuncia a una identità geografica, concentrando l’attenzione sulle emozioni come collante storico e universale dell’umanità, con al centro tutte le contraddizioni dell’America e le sempre tangibili difficoltà dell’essere donna e nera.
Il collage di copertina mette subito in luce la natura più simile a un mosaico di storie, che in quest’occasione predomina sulla scena sonora. Il set completamente rinnovato dei musicisti non altera quell’intensità da collettivo musicale che finora ha dato linfa vitale all’imponente progetto - ricordiamo che sono previsti ben 12 episodi – mentre le attitudini più sperimentali e free sono senz’altro dovute anche alla presenza di musicisti come Mazz Swift, Cory Smythe, Stuart Bogie e Matt Lavelle.
Ci sono illimitate fonti di esame e discussione in “Coin Coin Chapter Five: In The Garden...”, non solo legate alla valenza dei contenuti politici, storici e sociali, ma anche a quelli creativi e puramente musicali. Il ruolo della sezione fiati è sconvolgente nella sua innovativa potenza: da semplice supporto della voce narrante e dei ritmi marziali (“How Prophetic”) a inverosimile orchestra dispersa nelle oscurità dello spazio (“Predestined Confessions”) o a pura esternazione di dolore (l’eccellente introduzione dell’album affidata a “We Said”), per poi risorgere a elemento di puro caos (la coda della già citata “Predestined Confessions” e la struggente “I Have Long Been Fascinated”).
Senza dubbio è l’album più jazz della serie. Cacofonie e spoken word tengono lontana qualsiasi tentazione normalizzatrice. Dopotutto, non c’è molto da celebrare o di cui essere orgogliosi, la storia è solo in parte cambiata, il mondo è ancora in preda agli orrori del razzismo, della misoginia, della povertà e della crudeltà della guerra, c’è ancora bisogno di raccoglimento (“But I Never Heard A Sound So Long”) e preghiera (il liturgico coro di “The Promise”).
Nella ciclica rappresentazione storica, elementi base come morte e libertà sono per Matana Roberts un unico grido, un racconto affidato a stranianti toni chamber-jazz, frammentati da ebbre evoluzioni di percussioni, sax in lontananza e voce recitante (“A(way) Is Not An Option”).
“Coin Coin Chapter Five: In The Garden...” ha comunque un filo comune che tiene insieme i vari momenti lirici e sonori, ovvero la storia di un’antenata dell’autrice, una bis bisnonna, vicenda ricomposta attraverso documenti e frammenti di ricordi familiari. E’ una storia fatta di solitudine, di matrimoni sbagliati, di orgoglio e forza e inevitabilmente di morte. La musica ne è avventurosamente asservita, tra residui di blues che contrassegnano il passato più remoto (“Unbeknownst”) e contaminazioni elettroniche e post-rock (la produzione è affidata a Kyp Malone dei Tv On The Radio) che ne agitano le acque (“Enthralled Not By Her Curious Blend”).
Alle continue e avvincenti distorsioni (“No Way Chastened”) e sperimentazioni (“For They Do Not Know”) spetta rinsaldare la natura più free del progetto, fino a catturare una magia e una poesia che rimettono in gioco tutto il fascino del be-bop e l’intensa spiritualità del jazz (“Shake My Bones”).
Matana Roberts usa ancora il linguaggio della provocazione per argomentare storie che meritano attenzione: la profonda ricerca di immagini sonore e letterarie, e l’apparente conflitto di stili e fonti emotive di un album come “Coin Coin Chapter Five: In the Garden...”, non hanno eguali nel panorama contemporaneo. Resta solo l'amaro in bocca per la mancata presenza tra i musicisti di Jaimie Branch, causata dalla prematura morte della trombettista, peraltro citata nelle note di copertina come fonte di coraggio per questo sempre notevole racconto letterario, storico e musicale, che ha ormai marchiato a fuoco la musica dei nostri tempi. Imprescindibile.
23/10/2023