Il mio silenzio nell'ultimo anno è stato fare musica ogni giorno
Questa è la frase emblematica che
Francesco Motta ha condiviso in quasi tutte le occasioni di presentazione del suo nuovo album, il quarto in ordine cronologico, intitolato "La musica è finita", giunto a circa due anni di distanza da "
Semplice".
Il cantautore pisano racchiude, tra le note di questo progetto, un po' tutte le anime che lo hanno contraddistinto, sia dal punto di vista musicale, sia da quello tematico e concettuale, compreso il periodo con i
Criminal Jokers.
Prodotto da Tommaso Colliva (
Muse,
Afterhours,
Eugenio Finardi,
Calibro 35), il disco propone il profilo più sincero, autorevole e sfrontato dell'artista toscano ed è nato nel corso di un'imponente fase creativa eretta sulla ferma volontà di mescolare le proprie identità con nuove esperienze. In questo, la scelta per lui inedita di progettare alcuni dei brani in scaletta con colleghi a lui cari - non solo dal punto di vista artistico - ne è la più lampante delle testimonianze, spalancando il proprio mondo verso la contaminazione con le idee altrui:
Willie Peyote,
Giovanni Truppi,
Jeremiah Fraites e Ginevra, sono solo alcune delle figure che lo accompagnano in questo viaggio, oltre al lungo lavoro in studio che lo ha visto scrivere e registrare con alcuni dei migliori musicisti in circolazione, tra cui
Danno,
Mauro Refosco,
Costanza Francavilla, Iacopo Sinigaglia, Emma Nolde.
È un Motta in grande spolvero, quello che emerge dai solchi dell'album. Intenso e riflessivo, sospeso tra arrangiamenti orchestrali ed elettronica (altro settore per lui piuttosto inedito, seppur sempre amato), per raccontare, ad esempio, di un amore tossico che tenta di trovare una direzione definita ("Anime perse") oppure incalzante, quasi irriverente ("Per non pensarci più"), tra percussioni tribali ed elettroniche onnipresenti.
Il
featuring di Willie Peyote previsto per "Titoli di coda", autore del testo della sua parte interpretativa, aggancia perfettamente il tipico
flow del rapper torinese con la caratteristica natura di Motta, come il commiato che Giovanni Truppi regala alle profondità espressive di "Alice", un brano dedicato alla sorella di Francesco e per questo ancor più intimo. Truppi, tra l'altro, non è scelto a caso per questo intervento, visto il forte legame che da anni lo lega con l'intera famiglia di Francesco.
Il testo della
title track è stato scritto insieme a
Bianconi dei
Baustelle, con arrangiamenti posti a metà tra
Muse e
Black Keys, rivolti a confezionare un brano che tratta il momento nel quale ogni azione, pensiero, situazione arriva al termine e grazie alla forte energia prodotta da quegli istanti d'impatto emotivo s'innesca lo slancio per ripartire verso nuovi orizzonti.
Il pianoforte - altra chicca entrata pesantemente nell'indole del musicista toscano - che introduce "Scusa", scorta a un altro intervento esterno, quello di Jeremiah Fraites dei
Lumineers, autore delle musiche sulle quali Motta, insieme a Ginevra Lubrano, ha poi ideato il testo a suggello. Una traccia particolare, elegante e forte, nella quale si esprimono le paure per ciò che non si può comandare personalmente assumendone il pieno controllo, lasciando alla mercé di un destino indefinibile il nostro futuro.
La collaborazione nata con Ginevra, accennata in precedenza, è fiorita per caso nel corso della visione del più recente concertone del Primo Maggio, dove un distratto Motta rimase colpito alla tv dalla
performance della cantautrice torinese, tanto da arrivare alla cooperazione consolidatasi definitivamente in "Maledetta voglia di felicità".
L'album si chiude con due episodi cardine, forse anche della sua intera produzione. "Se non avessi avuto te" è scritta da Motta al pianoforte, a conferma dell'interesse assodato per questo strumento, con l'ausilio della compositrice romana - di stanza a Ibiza - Costanza Francavilla, autentica fuoriclasse dell'elettronica modulare. Proprio per questo, il pezzo è fortemente indirizzato verso un ventaglio molto ampio di sonorità.
La conclusione, affidata a "Quello che ancora non c'è", riaccenna alla sostanza più segreta dell'artista toscano. Tra un crescendo d'archi e un'atmosfera che si estende progressivamente, il pezzo evidenzia un carattere che fa trasparire grande emozione, trattando il complesso tema del cambiamento nel senso più vasto del termine, un momento che non necessariamente significa l'aver accettato la realtà dei fatti e per questo ancor più complicato da far proprio.
Il titolo utilizzato per raccogliere i dieci brani in scaletta (undici se inclusa anche la
bonus track "Per sempre") è già di per sé emblematico. Motta sembra intenzionato a tirare una riga simbolica sul suo percorso personale, cercando il fantomatico punto zero dal quale ripartire, ma senza mai perdere l'appiglio con le radici che gli hanno permesso di raggiungere la sua essenza attuale: la musica, sì proprio lei, l'arte che per Motta è stata da sempre una Musa, come da definizione etimologica, un mondo che ha sempre rispettato e nel quale si è continuamente addentrato con grande abnegazione ed estro. È vero, la musica finisce, ma non si disperde in assoluto: muta, progredisce, e Francesco cerca di riattizzare continuamente quel fuoco che imperituro non vedrà mai un termine. Per Motta la musica non è affatto finita.
02/11/2023