Per i Simple Minds, con quasi 45 anni di carriera sulle spalle, è ormai tutto un Celebrate. Il titolo-slogan del vecchio singolo di "Empires And Dance" muove ormai da tempo la band di Jim Kerr, che non perde occasione per glorificare - anche legittimamente - il suo passato: dalla celebrazione live "5x5" del 2012 che, approfittando della riedizione dei loro primi 5 album in formato box, imbroccava la loro tournée più memorabile degli ultimi anni (qui il live report della data di Roma) al Greatest Hits Tour in occasione della pubblicazione del triplo cd "Celebrate: The Greatest Hits" per festeggiare i 35 anni di carriera, dalla rivisitazione di "Simple Minds Acoustic" (dodici successi riletti in chiave acustica con annesso tour promozionale) alla qui presente "festa in chiesa" per il sempiterno "New Gold Dream". Un'uscita (in cd, digital download e vinile rosso) che altro non è che la testimonianza della recente esecuzione integrale del capolavoro del 1982 ad opera dei Simple Minds presso la Paisley Abbey, nella loro Glasgow, dove sono stati invitati da Sky Arts a registrare una puntata di "Greatest Album Live".
Il disco - dal vivo, ma senza pubblico - ha, per l'appunto, un senso solo celebrativo, a suggello anche della consolidata armonia della nuova line-up, in cui i due vecchi marpioni superstiti del gruppo, Jim Kerr e Charlie Burchill, si fanno affiancare da Ged Grimes al basso (subentrato a Derek Fobes dal 2010) e da due più recenti new entry femminili: Berenice Scott alle tastiere (dal 2020) e Cherisse Osei che dal 2018 ha rimpiazzato Mel Gaynor alla batteria. Tutti molto diligenti e volenterosi, anche se la differenza con le performance dei membri originali dell'epoca non può non farsi sentire (come dimenticare, oltre ai groove implacabili dell'asse ritmico Forbes-Gaynor, i magici intarsi di tastiere di Michael MacNeil, supportato per di più da quel solo mirabolante di Herbie Hancock in "Hunter And The Hunted"?).
Insomma, non ci può essere match, com'è ovvio che sia. E sarebbe anche sbagliato tentare raffronti. Tuttavia, l'insolito mix di esperienza e freschezza di questo nuovo organico riesce anche a trascinare, lasciando affiorare qua e là piccole sorprese: inedite venature soul-gospel (i back vocals di "Someone Somewhere In Summertime"), robuste iniezioni d'elettronica sposate a un bel tiro rock ("Colors Fly And Catherine Wheel"), delicati ricami acustici barocchi nella fitta muraglia delle tastiere ("Big Sleep") e una compiaciuta vena sperimentale in alcuni arrangiamenti ("Somebody Up There Likes You", "King Is White And In The Crowd"), con un Kerr inevitabilmente impossibilitato a competere con i suoi standard di 40 anni fa, ma comunque attento a portare a casa prestazioni più che decorose, affidandosi al suo comprovato mestiere laddove non arrivano (più) le corde vocali (ad esempio, nell'insidiosa title track).
Un'onesta celebrazione, dunque, tra le tante portate a termine dalla band scozzese negli ultimi anni, in un percorso inevitabilmente rivolto più al passato che al presente, ma non privo di qualche piacevole guizzo, come ad esempio i due album di inediti "Big Music" (2014) e "Direction Of The Heart" (2022). Ma soprattutto una formidabile occasione per ringraziare Jim Kerr e compagni ancora una volta e andare subito a rimettere sul lettore (o sul piatto, su Spotify... dove volete) l'originale del 1982. We can live, I can live. Celebrate!
04/11/2023