Il progetto Il Lungo Addio continua a cambiare il proprio percorso negli anni, rendendo quasi impossibile prevedere quali potrebbero essere le future evoluzioni della creatura di Fabrizio Testa. "Adriatico" è l'album che crea uno stacco maggiore col precedente, in questo caso "Tropico romagnolo" (2022), lavoro decisamente intimista e minimale, che a sua volta segnava un salto deciso rispetto alle sonorità pop-rock di "Estate violenta" (2020). "Adriatico" ci catapulta davvero in un mondo sonoro differente, essendo il primo album in cui l'elettronica e i synth in particolare prevalgono su tutto, sfornando suoni darkwave su percussioni tribali.
Nonostante tutto appaia diverso, ovviamente non può mancare il comune denominatore che lega tutti gli album del progetto, cioè l'ambientazione romagnola di uomini che vagano in questo piccolo universo desolato, tra Misano, Rimini e Cattolica, alla ricerca di una verità introvabile, di un motivo per non morire, alla ricerca di "Dio e una minerale".
Se Fabrizio Testa ha sempre raccontato le storie di questi uomini vagabondi nel nulla, stavolta i testi divengono parole lanciate nel vuoto, slogan ripetuti sullo sfondo di percussioni, semplici nomi di hotel su ritmi kraut ossessivi, come flussi di pensiero decostruiti. Non ci troviamo più di fronte a brevi racconti di uomini che si muovono dentro un micromondo, ma siamo di fronte a scatti fotografici, a istantanee che immortalano un attimo che sembra durare in eterno, come in un quadro di Hopper.
"Rimini non è Hollywood" (forse una citazione dei Negrita?) è un esempio di minimalismo percussivo, con synth, tromba e una singola frase ripetuta che può ricordare i primi Death In June. "Zimmer" lancia in un mare elettronico dai ritmi kraut, nomi di alberghi come fossero stilettate, quasi pensieri casuali in una mente perduta, ricordando gli anni d'oro del synth-pop. "Giugno Luglio Agosto Nero" cita "Luglio, agosto, settembre (nero)" dell'esordio degli Area ed è pura darkwave, dai synth al suono di basso post-punk.
La morte, che tante volte ha fatto capolino nei brani di Testa, si ripresenta in "Hotel Splendid" e soprattutto in "Adriatico", che con un sound da pop anni 90 immagina vari modi di morire, attraverso pensieri casuali che si rincorrono senza una logica. Interessante l'intro di "Kalumet" (ricorda i primi secondi di "A Forest" dei Cure), storia di un uomo che saluta la donna che ha perduto, con citazioni di Psycho Kinder ("siamo vivi e invisibili") in un paesaggio desolato ("ombrelloni morti a riva").
La passione per il cinema italiano - che ha sempre contrassegnato Il Lungo Addio - torna nel brano finale, "Dove cadono tutti", ancora un volta con synth e percussioni, ma stavolta alienanti, con le parole di Monica Vitti tratte da uno dei più grandi capolavori del cinema italiano (forse il più grande), "Deserto Rosso" di Michelangelo Antonioni. Perché tutti si ritrovano e cadono prima o poi nella vita nel luogo o nel momento in cui i sogni sono finiti, dove l'unica speranza è di trovarsi circondati - alla fine di tutto - dalle persone che ci hanno voluto bene, come protetti da un muro.
10/09/2024