Jesus And Mary Chain

Glasgow Eyes

2024 (Fuzz Club)
noise-pop, post-punk

My venal heartbeat, filled with pain. Un verso in grado di riassumere efficacemente l’estetica musicale basata sui fragori agrodolci dei Jesus And Mary Chain. A sette anni dalla loro ricomparsa sulle scene con “Damage And Joy”, lavoro che guardava con insistenza alla passata produzione del gruppo, l’ottava opera “Glasgow Eyes” compie con prudenza il tentativo di distaccarsi almeno in parte da essa, con una sorta di ritorno a casa in una Glasgow notturna, tra ombre e ricordi di eccessi smodati legati all’abuso di droghe, conditi da sintetizzatori, elettronica scura e passi kraut-rock, incorporati alla rumorosa ricetta tra pop, post-punk e alt-rock ideata da Jim e William Reid.

La discreta apertura è affidata all’elettronica bistrattata della dinamica “Venal Joy”, traccia cantata insieme a Fay Fife dei Rezillos e illuminata da sferzate di matrice motorik, che funge da manifesto e mostra il sentore generale dell’album a livello di sound. Ad essa fanno seguito le saettate della vacua “American Born”, che guarda ai pezzi di “Automatic”, rielaborandone ritmi e trame stratificate, e la mancata opportunità “Mediterranean X Film”, che si attesta sulla sufficienza per i buoni spunti sonori forniti dall’andamento di basso nella prima parte, perdendosi tuttavia nel finale inutilmente lungo e sciapo.
I marchi di fabbrica chitarristici dei grandi classici dei fratelli Reid fanno capolino trionfanti in chiave allucinata e sintetica in “Jamcod”, consegnando un risultato divisivo, che avrebbe potuto rappresentare una svolta decisiva, mettendo ulteriore distanza rispetto alla propria zona di comfort.

Si aggiudica il premio come brano di maggior inutilità (e bruttura, volendo) “Discotheque”, le cui note scure prendono il largo verso lidi space-rock robotici, mentre “Pure Poor” sembra scomporre e sciorinare al rallentatore i guitar-riff di una pseudo-ballad come “Nine Million Rainy Days”, appartenente a “Darklands”.
La psichedelia e le melodie dei Fab Four si mescolano a chitarre di stampo hard-rock all’interno di “The Eagles And The Beatles”, lasciando campo libero alla decisamente preferibile attesa sostenuta dai ritmi ipnotici di “Silver Strings” e dagli echi lontani di “Chemical Animal”, fino alla semi-ballata “Second Of June”, che riporta al mood delle tracce di “Stoned And Dethroned”.
La leggera “Girl 71” sposta il focus in direzione power-pop, concludendo il percorso con “Hey Lou Reid”, che nel suo titolo usa un gioco di parole tra l’amato frontman dei Velvet Underground, a cui i Nostri sono da sempre devoti (e anche nella traccia in questione si sente), e il cognome dei fratelli scozzesi.

“Glasgow Eyes” viaggia costantemente sul filo del rasoio, alternando diverse idee gradevoli a parecchie cartucce sparate a salve, traducendosi in un’occasione persa, l’ennesima, per un rilancio effettivo del progetto targato Jesus And Mary Chain. Tuttavia, conoscendo il carattere fortemente provocatorio degli ironici fratelli Reid, c’è da scommettere che il risultato ottenuto sia esattamente quello da loro desiderato, fuori da ogni possibile definizione di sorta. Un album testamento? Un disco di transizione verso qualcosa di realmente nuovo? È il caso di dire che “bene o male, l’importante è che se ne parli”, e qui gli argomenti di discussione certamente non mancheranno.

31/03/2024

Tracklist

  1. Venal Joy
  2. American Born
  3. Mediterranean X Film
  4. Jamcod
  5. Discotheque
  6. Pure Poor
  7. The Eagles And The Beatles
  8. Silver Strings
  9. Chemical Animal
  10. Second Of June
  11. Girl 71
  12. Hey Lou Reid








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