I pionieri del noise-pop e degli assordanti muri di feedback di "Psychocandy" tornano dopo ben diciannove anni dal loro ultimo in studio. Gli scozzesi Jesus And Mary Chain sono stati tra i principali messaggeri dell'eresia del rumore e del feedback all'interno del mondo del pop, hanno fatto a pezzi la melodia ricercandola continuamente per poi triturarla ogni volta con dosi massicce di distorsioni e testi funerei. I loro live degli esordi, le continue provocazioni a un pubblico ancora impreparato a tale iconoclastia (concerti di poco più di dieci minuti suonati con le spalle rivolte al pubblico), le risse che spesso ne scaturivano (la distruzione del North London Polytechnic del marzo 1985), i testi blasfemi (gli operai che si rifiutano di stampare un loro 45 giri col brano "Jesus Suck") sono una leggendaria pagina di storia della musica rock che testimonia la portata eversiva delle idee dei fratelli Reid.
Messe da parte le incomprensioni che avevano portato a questo lungo periodo d'assenza ("abbiamo sotterrato l'ascia di guerra"), pubblicano il nuovo "Damage And Joy" che ci consegna un gruppo fedele alla propria storia, portata avanti con coerenza e dignità da oltre trenta anni; l'iniziale "Amputation" parte subito con un riff tipico degli scozzesi, dove si definiscono come figli semi-putrefatti della musica rock ("I'm a rock and roll amputation"). La ballad darkwave "War On Peace" rievoca gli splendori oscuri di "Darklands" per essere devastata da un caotico finale post-punk. Altrove è la melodia a dettare tempi e regole; ma è una melodia malsana e depressa, un languido canto narcotizzato in compagnia della vocalist Bernadette Denning nel brano dal titolo emblematico "Always Sad", oppure della voce sospirata e impalpabile della sorella Linda Reid nei brani "Los Feliz (Blues And Greens)", "Can't Stop The Rock" o nel duetto pop onirico con Isobel Campbell di "Song For A Secret".
L'alternanza di ritmi frenetici ("Get On Home"), ballate acustiche ("Black And Blues", con la cantante Sky Ferreira) e brani pop ("The Two Of Us" che "ricorda" molto da vicino "I Could Be Dreaming" dei Belle And Sebastian) funziona soprattutto per i nostalgici di una stagione ormai finita. Le idee dei fratelli Reid non cambiano e - a differenza degli anni 90 dove una certa influenza dei generi tipici di quel decennio c'è stata (grunge, britpop) - in questo caso non sembrano essere passati diciannove anni, ma sembra che il tempo si sia fermato. Questo porta a far ritenere che uno dei limiti dell'album sia la sua durata eccessiva (53 minuti), elemento che appare contraddittorio con gli assordanti concerti di soli dieci minuti degli esordi.
L'impressione complessiva è che - dopo quasi venti anni di assenza - i Jesus And Mary Chain si siano ancora una volta confermati coerenti protagonisti dei loro tempi, molto meno invece della contemporaneità, sembrando tanto estranei ad essa che "Damage And Joy" potrebbe apparire come un ottimo prodotto di revival. Coerenza che potrebbe anche essere scambiata per immobilismo, come vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto; ognuno, nei "nuovi" Jesus And Mary Chain, vedrà l'uno o l'altro in base alle proprie personali preferenze.
05/04/2017