Chi ha come me una cinquantina d'anni ed è stato un assiduo fruitore di musica in età adolescenziale, avrà certamente considerato la radio come uno dei capisaldi della propria esistenza. Se tornaste indietro nel tempo, pressappoco intorno alla metà degli anni 80 e vi sintonizzaste sulla vostra emittente preferita, a molti tornerebbero alla memoria almeno un paio di pezzi dei Kissing The Pink, una band che se chiamata in causa così a caldo potrebbe anche non smuovere alcun ricordo particolare. Andate a recuperare episodi di puro synth-pop easy listening quali "Never Too Late To Love You" e soprattutto "One Step" e sicuramente qualche buon flashback potrà finalmente balenare nella vostra mente.
La sempre puntuale Cherry Red Records ha dedicato all’oscura band inglese una pubblicazione che profuma di opera omnia, andando a raggruppare in unico pantagruelico cofanetto cd (è presente anche sulle piattaforme digitali) i primi tre album della formazione capitanata da Nicholas Whitecross, quelli editi dall'etichetta Magnet tra il 1983 e il 1986, più una moltitudine sostanziosa di B-side, extended e alternative version.
L'errore più grosso che si possa commettere in questo caso è quello di semplificare i Kissing The Pink riducendoli alle sinuose scorribande synth-pop citate poc'anzi, fortunatissime a livello commerciale ("One Step", in Italia, si arrampicò fino alla terza posizione nei singoli), ma piuttosto banali nella costruzione stilistica.
Il compito di questo articolo è quello di indirizzare il focus soprattutto sui primi due album: "Naked" del 1983 e "What Noise" del 1984, più che su "Certain Things Are Likely" del 1986 (prodotto da Peter Walsh), il disco che conteneva proprio le due simpatiche hit di cui sopra.
"Naked", il loro full length d'esordio, è un piccolo gioiellino new wave che non avrebbe affatto sfigurato in un novero comprendente, tra gli altri, i primordiali Human League, il debutto dei Tears For Fears, gli Ultravox epoca Midge Ure e, perché no, alcune sfaccettature di Talking Heads e Omd. Per accertarsene, basterebbe ascoltare brani quali "The Last Film" (da recuperare la loro esibizione a Top Of The Pops '83) o la spigolosissima "Frightened In France". Da non perdere poi le sinistre fragranze regalate da "Watching Their Eyes", i siderali echi di "All For You", tra mandolini, fisarmoniche, archi ed elettroniche gelatinose, la techno-wave di "Broken Body", i sintetizzatori pulsanti di "In Awe Of Industry", le infingarde trame finto-jazz del singolo "Maybe This Day" o la conclusiva "Mr. Blunt", dai forti richiami a David Byrne e soci.
Se è possibile muovere una piccola rimostranza ai curatori di questa mastodontica e meritoria operazione di recupero discografico, la concentrerei sulla delittuosa assenza in scaletta del primissimo singolo "Don't Hide In The Shadow", che nel 1981 anticipò tutto e tutti con una formula magistrale che fuse i riferimenti rubricati in precedenza, corredandoli di un ulteriore alone industrial.
Con il successivo "What Noise" del 1984 la situazione, se possibile, assunse fisionomie ancor più indecifrabili e, di rimando, dall'elevata quota di fascino.
In questo sophomore, l'ampio spettro stilistico dei KTP intavolò una maggiore apertura verso orizzonti pop, senza smarrire tutte le stuzzicanti e taglienti malizie mostrate nell'album precedente. Questa scelta si rivelò azzeccata (nei contenuti più che nell'appeal verso il grande pubblico) allargando in modo considerevole gli orizzonti della loro già singolare proposta.
Il singolo "The Other Side Of Heaven" ne è la dimostrazione più riuscita: un ensemble di strutture che sembrano ammiccare verso un'ampia fetta di pubblico, ma che restano volontariamente strette alle consolidate basi new wave: questa sarà la costante che caratterizzerà tutto l'album.
Il jazz acustico di "Greenham", i caotici intrecci elettronici di "Victory Parade", la teatralità di "Captain Zero", l'inquietante cocktail servito in "Each Day In Nine", con basso fretless, sassofono, sintetizzatori sibilanti, la miscela psych-afro-jazz di "The Rain It Never Stops" e le accattivanti vibrazioni di "Radio On" contrassegnano una raccolta che si rivela davvero sorprendente.
Insomma, brava la Cherry Red a riportare in auge una band che negli anni 80 avrebbe meritato molta più fortuna rispetto a quella protocollata, principalmente per il coraggio mostrato nel dittico di Lp iniziale. Ascoltateli con dovizia e applicazione e poi elaborate qualche paragone con le tante altre illustri testimonianze del periodo, di sicuro i Kissing The Pink ne usciranno con riconoscimenti alla vigilia inaspettati.
10/04/2024