Si fa presto a parlare di disco onirico, di affermare quanto una canzone, una linea vocale, finanche un arrangiamento provi a raccontare, a intrappolare nelle sue maglie la materia acquatica e sfuggevole del sogno. È molto più difficile far sì che la musica diventi essa stessa il sogno, l'esperienza in cui perdersi, coi suoi bruschi e allo stesso tempo dolcissimi cambi d'umore, il suo gusto per la giustapposizione inconsueta, le cromie sfumate. Con la lunga esperienza all'interno della band No Clear Mind, tra le formazioni di punta del rock elettronico made in Greece, Lefteris Volanis e Dimitris Pagidas raccolgono la sfida con la destrezza di chi vi ha dedicato un intero percorso artistico, maturando una graduale ma salda consapevolezza. Forti di un raffinato eclettismo e di una forbita ricercatezza compositiva, i due musicisti realizzano con “Outside The Long Walls” una sortita a due in cui il processo creativo ha il potere del sortilegio, cattura scampoli di magia che tramutano le dieci canzoni di “Outside The Long Walls” in altrettante vignette, i capitoli di un miraggio che si sposta a suo piacimento nel tempo, nello spazio e nella presenza. La realtà? Una filigrana in controluce, da consultare come un oracolo evanescente.
Perché rimanere saldi nella concretezza, d'altronde, quale il motivo di una simile opposizione all'evasione? Perché aderire al monolinguismo, quando greco e inglese assieme riescono a sparpagliare al meglio ogni pretesa di tangibilità? Un po' persa nei ricordi, un po' dipinta con fare da vecchio film in bianco e nero, la narrazione esce fuori dalle mura ed esplora spazi liminali, eventi incontrollabili, frammenti di vita quasi privati del loro contesto. Lo fa con un linguaggio di composita eleganza, zeppo di riferimenti agli anni Settanta (nelle fattezze di Hawkwind ed Eloy, soprattutto) ma che viene sospinto da una pastosa autorialità folk, che i sintetizzatori e le scelte ritmiche conducono al largo, verso evasivi contorni downtempo e ambient.
Sono onde che cancellano i segni, spazzano via ogni inutile linea di confine, favorendo un'immagine compatta, un acquerello gentile che accoglie in sé ogni discrepanza. Baciati dalla luce, i cristalli del brano d'apertura sprigionano immediatamente il loro potere evocativo; radi fraseggi di chitarra e lente mareggiate sintetiche espandono l'orizzonte a ogni battuta, irradiano un calore incapace di frenare, che viene anzi ulteriormente propagato da accorti accenni di percussioni, da rapide intromissioni vocali.
È una gestione dell'atmosfera che i due musicisti controllano alla perfezione, nel rapido cambiare di scenari (i notturni soffusi di “Mesaeon”, cantata psichedelica appena avvinta da una lieve coltre jazz; le aperture space di “Laelaps”, dotate di misteriosi echi dub), soprattutto nella decisa omogeneità d'umore, nella direzione di un simil-concept che non sacrifica mai le sue fattezze oniriche.
Tra paradossali ninne-nanne cantate in riva al mare (“In Dreams I Wake Up”), curiose apparizioni divine (i falsetti impossibili di “Angels”) Volanis e Pagidas sanno corredarsi di tutta l'indeterminatezza necessaria, spargere via troppe certezze con uno schiocco di dita.
Momento più chiaramente progressivo della raccolta, la title track nasce come stupefatta composizione psych-folk, per poi prendere un'inattesa deriva ritmica dopo solo un minuto, prima che la linea melodica di base lasci la presa e l'intero brano prenda una marcata direzione verso l'abisso, la profondità dell'inconscio. Fuori dalle mura tutto è lecito, un istante sei a un passo dal precipizio e quello dopo vieni colto da una malinconia che solo i Montgolfier Brothers hanno saputo esaltare con simile tenerezza di tratto (“Leaving London”). E se il viaggio non fosse sufficientemente intenso, dolci memorie si insinuano senza far rumore, facendosi notare con calma, finché la loro presenza diventa un tutt'uno col sé (il misurato crescendo di “August”). Ci penseranno altri stimoli, altre connessioni a trascinare la mente verso nuovi lampi, consapevolezze fugaci, eppure capaci di instillare un dubbio, rendere l'anima una sconosciuta, una straniera da imparare a frequentare (il fuoco tenue di “A Soul Unknown”).
Il senso di quest'esperienza? Non provate nemmeno a porvi un simile interrogativo, a carpire una lezione, un insegnamento. Fuori dalle mura si vaga per dimenticare, confondere, procedere per progressive spoliazioni, ritrovare insomma l'essenza più profonda dello stupore, del cammino attraverso il sogno. Onore a Lefteris Volanis e Dimitris Pagidas per essersi fatti tramite di un simile prodigio.
25/07/2024