Ci vorrebbe un Borges ben motivato per mappare il bestiario immaginario delle copertine rock. Non me ne vogliano la carpa quacchera di Captain Beefheart o i crostacei in tweed dei Residents, ma la mia creatura preferita rimane la "mucca sbagliata". Certo, anche quel lettering da tazebao suprematista ci mette del suo, ma la parte del leone (o meglio, del bue) la gioca quel muso lì. Anche solo per l'espressione enigmatica che ostenta: mansueta ma anche sfrontata, al pari di quel completo tra l'attoriale e il pretesco.
Altra specie in attesa di tassonomia dedicata: dischi di cui (più o meno) tutti hanno ammirato la copertina ma (quasi) nessuno ha assaportato i contenuti. A volta effettivamente non ne vale la pena, ma nel caso di "Wrong" sarebbe una mossa alquanto sbagliata.
Un aneddoto personale sullo stupore (sebbene in questo caso indiretto) suscitato da quella musica nodosa e affilata. Roma, a.d. 2007: mentre mi dirigo verso il tramontato Circolo degli Artisti, dove il trio canadese avrebbe tenuto una delle ultime date italiane, vengo intercettata da alcuni amici che mi chiedono info sulla serata. "Punk e jazz assieme? Com’è possibile?". Va detto che non si trattava di profili troppo alfabetizzati, e io sarei dovuta ripartire dai Lounge Lizards o dai Contortions per inquadrare meglio la questione, ma mi parve cosa buona e giusta scaraventarli in una deliberata confusione. La stessa che ci assale ogni volta davanti al cowboy (ehm) incorniciato da quei caratteri geometrici.
Memorabille quel concerto (suggellato da una devastante "Beat On The Brat") e sempre un sincopato piacere rimettere sul piatto questo capolavoro, finalmente ristampato da mamma Alternative Tentacles per il tonicissimo trentacinquennale. Jazzcore? Post-hardcore? Math? Mah! Di sicuro uno dei dischi più arty del periodo, tutt'altro che schizzinoso a dispetto dell'intransigente ragione sociale, capace di coniugare la sardonica iconoclastia dei Pere Ubu con un surplus di tecnica da primi della classe.
L'una e l'altra si rivelano mortai zelanti nel triturare tutto quanto capiti loro a tiro, che sia noise ("The Tower"), metal ("Brainless Wonder"), blues ("Stocktaking"), prog ("All Lies") e ovviamente punk ("Oh No! Bruno!"), senza disdegnare scivoli melodici ("The End Of All Things"), mentre l'hi-hat a serramanico di "It's Catching Up" o il ghigno Biafra-iano di "Rags And Bones" possono essere ascritti solo al loro beffardo crossover.
E che dire dei testi? Non diciamo nulla e facciamo urlar loro, che nella piroetta alla Minutemen di "Tired Of Waiting" si arrischiano a dispensare una pillola da manuale zen: "I got tired of waiting because I found out there's a very very fine line between biding one's time and wasting one's time, you know what I mean?”. Certo che sì, verrebbe da rispondere: sappiamo che non è il caso di questi 40, smaglianti minuti. Oggi come allora, un disco che non sbaglia un colpo.
24/04/2024