Dopo un lungo sodalizio, anche per i Lost Brothers è giunto il tempo di prendersi una pausa e concentrarsi su progetti diversi. Per Mark McCausland e Oisín Leech non è arrivata la parola fine, ma è piuttosto il momento giusto per avviare collaborazioni, e dunque sperimentare nuovi approcci creativi.
Per il duo irlandese è sempre stato naturale condividere e cooperare con altri musicisti: per l’album del 2014 “New Songs Of Dawn And Dust” si avvalsero della presenza dei Cardinal, mentre anni prima avevano chiamato Brendan Benson al tavolo di produzione, inoltre il pubblico italiano ha conosciuto il duo nel 2016 come gruppo spalla per il tour di Glen Hansard, senza dimenticare la recente presenza nel disco di Howe Gelb del 2019 “Gathered”.
Tocca a Oisín Leech fare il primo passo verso una carriera da solista. Il musicista ha voluto al suo fianco Steve Gunn, con il quale ha condiviso le sorti dell’album “The Cold Sea”, insieme hanno scelto i musicisti da coinvolgere nelle delicate e raffinate composizioni – M. Ward, Dónal Lunny (Planxty, Bothy Band), Róisín McGrory e Tony Garnier (quest’ultimo già alla corte di Bob Dylan) – abili stilisti delle nove solitarie e contemplative creazioni di Leech.
Ogni piccolo particolare di “The Cold Sea” è stato curato con attenzione, a partire dalla splendida copertina, opera della rinomata pittrice Sinead Smyth, mentre per le registrazioni dell’album, Leech e Gunn hanno trasformato in uno studio di registrazione una vecchia scuola posta di fronte al mare nella contea di Donegal.
"Sole d’ottobre, luce del giorno, colore della pioggia, mare freddo, una collina più in là, radio marittima": con questi titoli non è difficile immaginare quale sia il tenore delle canzoni incluse in “The Cold Sea”, ispirate e accorate, apparentemente non memorabili. Basta in verità già cogliere i tanti rimandi ed echi del passato delle prime due tracce, “October Sun” e “Colour Of The Rain”, per capire che Oisín Leech e Steve Gunn si sono concentrati su accordi leggiadri e quasi vulnerabili, al fine di catturare quelle sfumature di colori dei paesaggi attigui.
Le canzoni di “The Cold Sea” sono nate spoglie, solo quattro giorni di registrazioni e una serie di piccoli ritocchi e inserimenti strumentali, a volte nati per caso (M Ward ha spedito un pezzo per chitarra dopo essersi innamorato di “October Sun”), a volte frutto delle visionarie soluzioni d’arrangiamento di Steve Gunn : il romantico tappeto di drone a base di sintetizzatori di “One Hill Further”, la desolata scenografia strumentale di “Daylight” e lo sfolgorante intreccio di chitarre e synth dello straordinario strumentale “Maritime Radio”.
Quelle di Leech sono folk ballad spesso simili a un bisbiglio o a un sussurro, canzoni appena carezzate da archi e da un gentile tocco di basso e bouzoki (“Malin Gales”) che non sfigurerebbero nel repertorio di Bert Jansch (anche se le influenze dichiarate sono Townes Van Zandt e Fred Neil), canzoni che trasudano figure poetiche e naif tanto intense quanto fragili (“Colour Of The Rain”).
Ad ogni ascolto, “The Cold Sea” sfoggia nuovi dettagli, tra ardimentose pagine a metà strada tra certa new age e il chill-out stile KLF della title track, come il pregevole intervento di una slide guitar in “Empire” o la magia tipicamente folk della melodia più toccante e malinconica dell’album, "Trawbreaga Bay”, perfetta sintesi della maturità espressiva del musicista irlandese, nonché una delle canzoni da archiviare tra le più belle di questo anno in corso.
Nel frattempo non ci resta che sperare in un ritorno di Oisín Leech dalle nostre parti - ha vissuto per un periodo a Napoli suonando per le strade della città e nuotando nel mare di Procida - per poter saggiare anche dal vivo la maturità raggiunta dal musicista con “The Cold Sea”.
21/03/2024