Niente davvero da ridire sul nuovo album degli Sleepytime Gorilla Museum – il primo da diciassette anni a questa parte. Niente di che nemmeno da dire, a essere onesti: il disco suona esattamente come ce lo si sarebbe potuto ottimisticamente aspettare. Un sabba avant-prog dal notevole contributo metallico, perfettamente in linea con quella continuità (bislacca, ma documentabile) che dall’Europa degli Henry Cow, del movimento Rock In Opposition e dei suoi sconfinamenti post-punk sbarca a inizio anni Ottanta negli Stati Uniti, germoglia nel suono convoluto dei 5uu’s e nelle taglienti obliquità chamber-folk-prog di Bob Drake con i suoi Thinking Plague, arrivando poi alle stregonerie balcaniche o silvane di Charming Hostess e Faun Fables. E si combina – infine – con il metal circense e avanguardistico degli Idiot Flesh, dando vita proprio a cavallo fra i due millenni a un progetto di culto nella sua nicchia, autore negli anni Zero di tre album di cui almeno due (l’esordio “Grand Opening And Closing” e il successivo “Of Natural History”) molto ammirati dagli appassionati dell’avantgarde metal di scuola Mr. Bungle (ed Estradasphere, e Secret Chiefs 3… – insomma se dovevamo capirci, ci siamo capiti).
Ritrovarli dopo vent’anni ancora lì e in buona forma non deve sorprendere: le registrazioni del disco risalgono, in buona parte, agli scorsi decenni (il periodo 2010-2011 prevalentemente, ma in un caso si va indietro fino al 2004). In tempi relativamente recenti (2016) il leader della band Nils Frykhdal e altri musicisti del gruppo avevano rilasciato un altro notevole album sotto il nome Free Salamander Exhibit, che confermava sia la solidità dell’ispirazione sia la fedeltà al proprio stile.
La cover thisheatiana “S.P.Q.R.” è il brano più antico e in fin dei conti anche il più necessario e prevedibile: grandioso ed efferato, è uno dei simboli dei live della band che trova qui il suo posto anche nella discografia in studio. Il pezzo più variopinto e completo è invece forse l’iniziale “Salamander In Two Words”, dove xilofono e fiati primo-novecenteschi incontrano traiettorie dissonanti e scenari ritmici via via più disturbanti e concitati. I due episodi più recenti invece, “El Evil” e “Hush, Hush”, presentano la formazione in una veste specialmente eclettica: la prima, frullando spagnolo, riffoni in palm mute e violini tzigani, porta l’isteria sonora a un livello nuovo per la band (certamente mai tiratasi indietro da questo punto di vista); più pacata, la seconda esplora territori più atmosferici, senza rinunciare tuttavia alla graduale costruzione di paesaggi ostici e inquietanti. La palma del brano meno riuscito, invece, potrebbe facilmente andare a “Save It!”: un fritto misto di King Crimson era-“Discipline” e funk fangoso stile Primus – molto meno accattivante di quanto sulla carta possa apparire.
“Of The Last Human Being” (il titolo andrebbe in realtà letto come prosecuzione del nome della band: “Sleepytime Gorilla Museum Of The Last Human Being”) è stato reso possibile dai fan del gruppo attraverso un fundraising su Kickstarter. Della stessa iniziativa – un progetto multimediale concepito insieme al coreorgrafo Shinichi Iova-Koga – facevano parte anche un tour estensivo degli Stati Uniti e il completamento del film “The Last Human Being: A Critical Assessment”, la cui realizzazione fu interrotta nel 2011 dallo scioglimento della band. Questa reunion potrebbe essere l’ultimo atto di un percorso ambizioso e coinvolgente, oppure l’inizio di una nuova fase per una band che ha sempre fatto della personalità un suo tratto essenziale.
25/07/2024