Non abbiamo mai avuto tanto materiale dei Sonic Youth intorno a noi come da quando la formazione newyorkese ha deciso di fermarsi. Non mi sovvengono altre band sciolte, e con tutti i componenti ancora in vita, che continuino a essere tanto presenti. Dopo la loro dissoluzione, hanno ricevuto più copertine di quante ne abbiano conquistate durante gli anni di attività, approfondimenti sul loro lascito e su cosa hanno rappresentato per lo sviluppo della scena alt-rock anni Novanta sono ovunque, collaborazioni e discografie soliste si allungano senza sosta, consentendo quasi di avere quattro Sonic Youth al posto di uno. In parallelo, Steve Shelley e Lee Ranaldo si occupano dell’archivio storico dei live della band, alimentato di continuo dai fan: periodicamente alcune di queste registrazioni vengono trasformate in dischi dal vivo ufficiali, testimoniando l’evoluzione estetica e musicale del gruppo. A pochi mesi da “Live In Brooklyn 2011”, il quale immortalava l’ultimo concerto tenuto dal quartetto newyorkese negli Stati Uniti, arriva un nuovo prezioso documento.
“Walls Have Ears” non è una novità assoluta: si tratta della reissue di un bootleg originariamente diffuso nel 1986, una selezione di istantanee da tre concerti tenuti a Londra e dintorni nel corso del 1985, durante il tour promozionale di “Bad Moon Rising”, prima di completare le canzoni che sarebbero finite in “EVOL”, alcune delle quali qui sottoposte alla prova live: è il caso delle evoluzioni psych-noise di “Expressway To Your Skull” e di una “Green Love” che diventerà di lì a poco “Green Light”.
La registrazione lo-fi contribuisce a rendere l’anarchia sonora dei Sonic Youth ancor più claustrofobica, tanto che le mura di un club sembrano non essere in grado di contenerla. In quegli anni la band stava realizzando i lavori più avventurosi, ed era già divenuta il riferimento nella propria nicchia di appartenenza, tanto da poter organizzare più tour all’anno oltre Atlantico. Quella fissata nei solchi di “Walls Have Ears” è la versione giovane di una formazione intenta a modellare la propria identità: sarebbe poi diventata un’istituzione dell’alt-rock americano, forte di quell’integrità artistica che avrebbe mantenuto fino all’ultimo minuto.
La prima parte del disco è dedicata allo show tenuto nella capitale inglese il 30 ottobre. Introdotti dallo scrittore Claude Bessy, con un intervento ripreso nella prima traccia, “C.B.”, i Sonic Youth per tutta la durata del set tengono una lezione su come creare il caos con quattro strumenti e su come imbrigliarlo all’interno del formato canzone. In futuro, avrebbero scelto di addomesticare i loro suoni, ma all’epoca no, si spingevano ogni volta un pochino più in là, attraverso combinazioni soniche inaudite, presentate dal vivo in maniera ancor più selvaggia e minacciosa.
L’ordine di apparizione delle tracce è anti-cronologico: la seconda metà del disco raccoglie infatti estratti da uno show precedente, aprile 1985, un opening act per Nick Cave all’Hammermith Palais di Londra. Dietro la batteria sedeva Bob Bert, non ancora sostituito da Steve Shelley, ed è possibile confrontare lo stile dei due musicisti ascoltando tre tracce estratte da entrambi i set: “Death Valley ‘69” (una volta mimetizzata sotto il titolo “Spahn Rance Dance“), “Brother James” e “Kill Yr. Idols” (è lei la “Killed And Kicked Off” che chiude la tracklist). Nel mezzo è stato inserito un brano ricavato da uno show tenuto a Brighton l’otto novembre. Di qualità sonora più scadente, “Blood On Brighton Beach” in realtà maschera la presenza di una “Making The Nature Scene” tutta distorsioni e accordature atonali.
Il valore di queste canzoni è incalcolabile, la loro capacità di definire un’estetica è fuori discussione, brani che nella dimensione live tendono ulteriormente a trasfigurarsi, dando vita a una vera e propria catarsi dissonante dai risvolti potenzialmente incontrollabili. Suoni che sembrano provenire da una realtà alterata, una forza brutale espressa non soltanto dall’incrocio fra le due chitarre e dal ritmo che non conosce ostacoli imposto da basso e batteria, ma anche dalle voci di Thurston Moore e Kim Gordon, che contribuiscono a generare una sorta di apocalisse sonora. Scelte che sono anzitutto provocazione: il rifiuto di qualsiasi facile melodia e di qualsiasi tregua uditiva appare come risposta alla desolazione conseguente ai due mandati repubblicani di Ronald Reagan, atteggiamento certamente recepito alla perfezione dal pubblico inglese, stritolato da anni di governo Thatcher.
Anche quando giocano con i tape di Jesus And Mary Chain e Madonna (divertitevi a rintracciarli fra una canzone e l’altra) i Sonic Youth sembrano sempre pronti a sovvertire qualsiasi logica. Ma i concerti dei quattro esprimevano allo stesso tempo anche rabbia e alienazione nei confronti di quell’industria musicale che, per il momento, continuava a ignorarli, anche a causa delle loro scelte artisticamente intransigenti. Ma qualcosa all'orizzonte stava per cambiare…
20/02/2024