CocoRosie - Little Death Wishes

Sono passati 21 anni da quel fatale rendez-vous nella cameretta di Montmartre, che fruttò il fortunato debutto delle sorelle Sierra e Bianca Casady. Un disco, "La Maison De Mon Rêve", registrato con un quattro piste, una chitarra, sample elettronici e qualche bizzarro rumore catturato "sul campo", in mezzo alle cianfrusaglie, alle sedie scricchiolanti e ai giocattoli. Divenne in breve uno dei più chiacchierati casi musicali dell'anno, lanciando le fatine Casady come nuove vestali della rinascita di un folk "primitivo", aggiornato con stravaganze e diavolerie più o meno contemporanee, che fossero di marca trip-hop, hip-hop, glitch, avant-pop e chi più ne ha più ne metta.
Ventuno anni dopo, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia per le CocoRosie: sette album in studio, tra luci e ombre, più svariate colonne sonore per opere teatrali e collaborazioni di prestigio, come quella con il Kronos Quartet al Jazz Festival di San Francisco. Quel che è rimasto è il gusto per trasformare la sorellanza in un dialogo artistico profondo, giocando con gli stili in un'opera di costante bricolage sonoro.

"Little Death Wishes", uscito per l'etichetta Joyful Noise, aggiunge ospiti di rilievo, come Gael Rakotondrabe al piano, Greg Saunier dei Deerhoof alle percussioni e Chance The Rapper, ma è strutturato ancora una volta sul dialogo febbrile tra Sierra (autrice di gran parte dei testi) e Bianca. Dodici tracce che affrontano tematiche complesse, come le difficoltà generazionali delle donne, la precarietà dell'esistenza e i "piccoli desideri di morte" del titolo, le disillusioni amorose e quel costante (e tormentato) legame con l'infanzia che da sempre è la cifra caratteristica del duo. E dell'infanzia le CocoRosie portano in dote quel caos innocente che rende intriganti brani apparentemente disarticolati e frammentari, come l'iniziale "Wait For Me", sorta di madrigale elettronico condotto lungo ritmi sghembi da Saunier, come a mimare un battito cardiaco affannato e irregolare, che asseconda il tremito infantile del canto in falsetto di Bianca.

I suoni - al solito iper-contaminati e sporcati con massicce iniezioni di field recordings - rasentano spesso l'elettronica giocosa e rarefatta della prima Bjork, come nel bel singolo "Cut Stitch Scar" in cui il beat ottundente e zoppicante pare quasi evocare le cicatrici del titolo, mentre la voce tremula di Bianca si interroga su come ricomporre una realtà in frantumi ("Could I fix the broken parts?"). Tutto è sempre spezzettato, sconnesso, come nella ninnananna sbilenca di "Least I Have You", dove tra un pianoforte scordato e un synth granuloso la voce di Sierra stende un velo di trasognata mestizia o tra le pulsazioni aggressive di tastiere e drum machine di "Nothing But Garbage".
In altre occasioni si lambisce uno straniato hip-hop ("Paper Boat", "Nothing Buy Garbage") suggellato poi dal featuring di Chance The Rapper in "Girl In Town", uno dei numeri migliori del lotto, costruito su un loop dissonante di toy piano e beat scomposti, che stridono dolcemente con il flow caldo e malinconico di Chance, mentre le CocoRosie evocano una figura femminile errante, tra richiami fiabeschi e cruda realtà urbana. Un mood oscuro che torna nell'ancora più intensa "Pushing Daisies", bedroom elettronica minimale al servizio di una storia di traumi intergenerazionali e disfunzioni familiari.

Evocativo e intimo, il weird-pop di "Little Death Wishes" non attirerà a Bianca e Sierra nuovi fan, ma conferma la loro abilità nel muoversi in quella dimensione liminale tra fiaba e realtà, tra innocenza infantile e lacerazioni dell'età adulta, con quel tocco di controllato lo-fi a fungere da fil rouge con gli esordi. Una sintesi matura e consapevole del percorso artistico delle CocoRosie, che conferma la capacità del duo di esplorare nuove frontiere sonore, mantenendo un'eleganza sghemba e un'identità riconoscibile. Imperfetto e caotico, come un po' tutti i loro dischi, ma forse anche per questo intrigante.

27/04/2025