I am that I was as I no longer am for I am nothing
Pochi altri dipinti "contengono" gli Stati Uniti al pari di "Christina's World". Alla celeberrima tempera di Andrew Wyeth, capolavoro del realismo americano, bastano un campo sconfinato, due case di legno in lontananza e una figura femminile di spalle riversa a terra per tratteggiare un mondo antico ed enigmatico, che non cessa di affascinare. Imitazioni e citazioni si sprecano: l'ultima in ordine di tempo, l'allucinata sequenza dell'incendio nell'almodovariano "La stanza accanto". Nel mio piccolo, ho appeso una riproduzione del quadro in soggiorno, e tanto basta per tramutare l’Emilia nel Maine.
Sul canale YouTube di Ethel Cain compare un video in cui la ex-figlia del predicatore propone un tour tra i suoi amati libri d'arte: non c'è da stupirsi che il primo a essere sfogliato sia una raccolta di Wyeth e che alle sue spalle campeggi in bella mostra la suddetta opera. La cantautrice della Florida è un prodotto di quelli stessi scenari arcaici, intrisi della religiosità rurale di "Witness" o "The Village" ma calati in una coltre di tenebre tutta Southern Gothic.
Essere la controparte casta di Lana Del Rey, evidentemente, non poteva bastarle. A partire dal titolo, "Perverts" sembra essere stato concepito per deflorare, deformare, sfigurare "Preacher's Daughter", al punto da smarrire qualsiasi connotato musicale. Di quelle solenni ballate da camera rimane un'ombra flebile, disturbata e disturbante. In questa ora e mezza dispersa in soli nove brani, quattro dei quali abbondantemente sopra i dieci minuti, pare avvenire tutto fuori campo. È un dronico silenzio a farla da padrone, insidiato dai rumori sinistri di una vecchia villa coloniale: scricchiolii, cigolii, mormorii. Un bouquet di preghiere al buio e segreti inconfessabili, all'insegna di una sussurrata solitudine.
A essere dispiegato è un bestiario deviante da far impallidire Krafft-Ebing. Cain impersona di canzone in canzone un diverso "pervertito", siano essi figure antisociali (pedofili, stupratori), autodistruttive (tossicomani) o semplici peccatori (erotomani, onanisti). Lo fa dando voce diretta alle loro ossessioni, ritagliando gironi dalle molteplici sfaccettature, senza condannare né assolvere. Le fonti spaziano dall'esegesi biblica alla psicanalisi, fino alla cronaca più torbida (il caso Plauché-Doucet) o la sociologia più controversa (la comunità di Miracle Village, ghetto riabilitativo per sex offender a fine pena).
L'attacco è da brividi: la title track munge l'inno cristiano "Nearer, My God, To Thee" in un lamento distorto che fa concorrenza all'abbrivio di "Berlin", marcando la lacerazione di un'anima che ha rinnegato la fede; seguono 12 minuti di nulla. "Punish", singolo-specchietto per le allodole, gioca ancora più sporco: il diafano pianismo della prima metà parrebbe ereditato dal disco precedente, ma finisce arso in un rogo doom che suona come Chelsea Wolfe sotto steroidi. "I love you", ripete fino alla nausea la protagonista di "Housofpsychoticwomn", morbosa riedizione di "Je t'aime... moi non plus" tra ticchettii insinuanti, sintetizzatori sepolcrali e una centrifuga che spurga un'asfissiante massa elettrica.
Dopo questo tour de force, le atmosfere si allegeriscono - si fa per dire: "Vacillator" issa l’inflessione dreamy di Grouper su una marcia in catene memore dei Zeal And Ardor; "Onanist" annega un baluginio hauntologico in un pozzo di distorsioni; "Pulldrone" crocifigge il monologare distaccato di Laurie Anderson su un raga degno del Theater Of Eternal Music.
Spingendo oltre il tasso di rarefazione, "Etienne" e "Thatorchia" abdicano alle parole: la prima si disintegra in un polveroso loop Basinski-iano, la seconda affila un ronzante feedback da acufene. Narcotica o meno che sia, una qualche pace forse giunge con "Amber Waves", mutuata dal post-rock incravattato dei Rachel's, in cui non esita a proferire "I'll be alright" (ma se è per questo pure "I can't feel anything").
Anche in vesti profane, il mondo di Ethel rimane ammantato di una sacralità senza estasi, capace di fare i conti con quel "silenzio di Dio" tanto caro a Ingmar Bergman.
17/01/2025