Hayden Silas Anhedönia appartiene a quella ristretta cerchia di artisti maledetti baciati da sensibilità rara, di cui oggi ha bisogno l'America per aggiornare ed espandere la propria gloriosa saga. Nata a Tallhassee in Florida e cresciuta al caldo umido di Perry, la ventiquattrenne cantautrice vive ormai da tempo a Enterprise, in Alabama. Negli ultimissimi anni sta sbocciando come una delle figure femminili di riferimento grazie a strabilianti doti da story-teller, capaci di intrecciare ispirazione lirica, cultura gospel e audacia rock in un avvincente spettacolo narrativo che flirta col mainstream in modo del tutto personale.
Il suo album d'esordio “Preacher's Daughter” è un viaggio tra le macerie di traumi vissuti in prima persona: figlia di un predicatore lo è stata davvero, allevata in una comunità battista del Sud ma poi deviata da abusi, violenze domestiche e un coming out precoce che l'hanno spinta ad abbandonare il coro della chiesa (si è pubblicamente dichiarata prima gay poi donna trans-gender). Quelle cicatrici l'hanno segnata nel profondo, e oggi tornano a sanguinare sulla superficie di un concept di tredici brani in perenne conflitto col passato ma con lo sguardo rivolto al futuro.
Il rapporto morboso con horror e Cristianesimo appare chiaro sin dalla macabra foto di copertina, dove posa in abito bianco e scarpe vintage sotto un dipinto che raffigura Gesù, quindi il prologo “Family Tree (Intro)” conferma gli oscuri presagi con estratti di un sermone sfumato su nastro seguito da ossessionanti mormorii vocali. Il disco è interamente autoprodotto dalla Daughters Of Cain Records con la saltuaria assistenza agli strumenti di Matt Tomasi e Colyer, e la scelta di fare quasi tutto da sola si rivela azzeccata consentendo ad Anhedönia una totale libertà creativa, straordinariamente ricca e immaginifica: il suo alter-ego Ethel Cain si avventura in una disperata fuga da casa di circa 76 minuti, tanto dura “Preacher's Daughter”, e si concluderà in maniera tragica per mano di un partner psicopatico. Nel mezzo, una brutale miscela di dolore e rabbia verso il mondo esterno ma anche un senso di catarsi che si traduce in una serie di ballate piuttosto lunghe, ciascuna delle quali chiede di farsi rigirare a fuoco lento sino ad assaggiarne ogni centimetro.
L'opera si può suddividere idealmente in tre atti: il primo la immortala ancora giovane alle prese con una cotta adolescenziale, l'innocenza perduta e i torti subiti che l'hanno resa così diversa dalle coetanee liceali. La solenne “A House In Nebraska” circola già dal 2018 ed è un racconto di solitudine, scandito da rintocchi di piano e assolo finale di chitarra elettrica. La vicenda è ambientata a inizio anni Novanta, Ethel Cain ha appena interrotto un fidanzamento e si reca malinconicamente in visita a quella casa in Nebraska, ora abbandonata, che avrebbe dovuto costituire il nido d'amore designato. “Western Nights” la ritrae alle prese con l'instabilità mentale dell'uomo, al quale promette però di restare accanto qualunque cosa accada (“prenderei la pistola se me lo chiedessi, ma se mi ami come dici mi chiederesti davvero di farlo?”), “Family Tree” insiste su un albero genealogico malato ai limiti della legalità mentre in “Hard Times” sono protagonisti i suoi turbamenti a sfondo erotico.
Funziona tutto con un paio di accordi e una poetica semplice ma lacerante, qualcuno l'ha paragonata a Lana Del Rey, Chelsea Wolfe e Lingua Ignota per il gusto gotico-retrò di sapore 50's, la voce alterna invece la limpidezza di Natalie Merchant e Florence Welch nei pezzi più convinti (“Thoroughfare”, ad esempio), ma altrove, come nella conclusiva “Strangers”, somiglia incredibilmente alla nostra Elisa.
La seconda canzone in scaletta, “American Teenager”, è la più ottimista dell'album e uno dei migliori inni pop che si siano sentiti in giro negli ultimi tempi: sintetizzatori fluorescenti ed esuberanze radiofoniche esaltano l'autrice anche nei panni di star moderna in stile Taylor Swift, ma resta purtroppo un unicum (stando al risultato, ne avremmo ascoltate volentieri di più di questo tipo) in un plot dove il destino si compie tramite ritmi che sgocciolano come la cera di una candela, per poi sciogliersi insieme alle illusioni del sogno americano.
Siano benedette le figlie di Caino, condannate alla sofferenza eterna per i peccati commessi dai loro padri
(“Ptolemea”)
Il secondo atto riguarda l'abbandono della cittadina natale direzione California, il sesso, le droghe e la morte. Strutturalmente parlando, la country-ballad “Thoroughfare” è meno soffocante delle altre, malgrado duri quasi dieci minuti: chitarra acustica e armonica tradiscono una passione mai sopita per le power cinematografiche di Guns N' Roses e Def Leppard, quindi con lo slowcore “Gibson Girl” (si rifà a Evelyn Nesbit, musa dell'illustratore Charles Dana Gibson coinvolta in un efferato caso di cronaca nera) e le allucinazioni da farmaci del trip-hop/industrial “Ptolemea” si ripiomba all'inferno (il titolo cita uno dei cerchi di Dante, la supplica “stop, I've had enough!” indica che siamo alle battute finali).
Il claustrofobico doom-ambient strumentale “August Underground” (ispirato a un famigerato snuff-movie dallo stesso nome) allegorizza il passaggio all'aldilà, dunque arriviamo al terzo e conclusivo atto, dove virtuosismi pianistici (“Televangelism”, ancora strumentale), riflessioni dall'oltretomba (“Sun Bleached Flies”, “Dio non ti ama abbastanza per salvarti”) e la toccante dedica alla madre “Strangers” (“mamma, ci vediamo quando arrivi qui”) mettono fine all'infelicità terrena spalancando le porte del paradiso.
Mezzo voto in meno per la misura dei brani, che come spesso accade in questi casi (si aggirano quasi tutti tra i sei e nove minuti) rischiano di trascinarsi sino ad annoiare, ma nel complesso è un debutto grondante pathos, epicità e romanticismo, avvolti da un'aurea di dolcezza a tratti disarmante.
In una recente intervista Anhedönia ha confessato che Ethel Cain è “la versione speculare della mia esistenza se non avessi scelto di cambiare”: sinora aveva prodotto solo tre Ep (“Carpet Bed”, “Golden Age” e “Inbred”), ma si dice già che da “Preacher's Daughter” voglia ricavare un libro o la sceneggiatura di un film. Intanto segnatevi il suo nome, di sicuro ne risentiremo parlare.
18/07/2022