GoGo Penguin - Necessary Fictions

2025 (XXIM Records)
nu jazz

Facile dir male dei GoGo Penguin. Facile anche dirne bene, però. La loro formula, al confine fra jazz, minimalismo e Intelligent dance music, è capace di sposare accessibilità e compostezza, brio e regolarità, leggerezza e qualità atmosferiche. Per qualcuno, una garanzia di eleganza e fantasia, per altri niente più niente meno che muzak trita e inespressiva, rivestita di una patina jazzy giusto per distinguerla da tanta fuffa pseudo-new age.
Dalle nostre parti il loro nome non è notissimo, e forse dunque nemmeno troppo divisivo. D'altra parte, qui in Italia il nu jazz non fa sfaceli - anche se dalle parti di Brescia e Milano qualche organizzatore di eventi ha iniziato a interessarsi al filone. A livello internazionale, però, il genere ha una sua risonanza, e con quasi cinquecentomila ascoltatori Spotify mensili il terzetto britannico è senz'altro il nome più rappresentativo come riscontro di pubblico. Per molti sarà inevitabile, dunque, approcciarsi al settimo disco della band con un'opinione già piuttosto strutturata riguardo alla caratura della proposta.

Conviene chiarirlo subito: "Necessary Fictions" assieme scompiglia e conferma le aspettative di appassionati e detrattori. Non fa un singolo passo indietro rispetto agli elementi più polarizzanti della ricetta: suono levigatissimo, gran dispiego di pianoforte einaudiano, occasionali aperture elettroniche, molto spazio per i ghirigori batteristici stile Squarepusher e nessuno - con consueto orrore dei puristi jazz - per l'improvvisazione. Eppure, rispetto ai dischi immediatamente precedenti, porta senz'altro una brezza nuova. Due anni fa "Everything Is Going To Be Ok" era stato il primo album senza Rob Turner alla batteria, e il nuovo arrivato Jon Scott era sembrato molto indaffarato a mostrarsi in linea col predecessore. Le tracce assicuravano il dovuto apporto di ritmiche funamboliche e drumming più leggero dell'aria, ma mancavano slanci personali, e l'ipotetico valore aggiunto della sostituzione stentava a notarsi.

Qui invece - e basta la primissima traccia, "Umbra", per rendersene conto - l'alchimia si riaccende e la macchina torna a spingere verso orizzonti intraprendenti. In "Fallowfield Loops" Scott piazza giù uno schema broken beat che è instabile e robusto come niente messo a punto in precedenza dalla band. "What We Are And What We Are Meant To" ha una costruzione che è puro soft/loud, ma anziché le chitarre ascensionali degli Explosions In The Sky, a guidare attraverso gli oltre cinque minuti di climax e cambi atmosferici sono le inedite intersezioni jazz/dubstep, più un ostinato di piano che farebbe la sua figura in una hit progressive trance firmata Robert Miles.

L'efficacia del tema di piano non è un'eccezione: proprio nella felicità melodica dei refrain di Chris Illingworth sta - con la disinvoltura ritmica - l'altra chiave che rende immediatamente memorabile buona parte degli episodi del disco. Le rutilanti evoluzioni di "State Of Flux", che incontrano gli archi di Rakhi Singh e del suo Manchester Collective, le apparizioni zigzaganti di "Naga Ghost", di nuovo intrecciate a un dubstep spezzato: ciascun pezzo disegna una mappa a sé, con il pianoforte di Illingworth a fare da bussola sicura lungo percorsi sempre nuovi. Senza però voler dominare a tutti i costi la scena: e così, quando in "Forgive The Damages" si tratta di lasciar spazio alla voce ovattata dell'ospite britannico-ugandese Daudi Matsiko, il piano sa farsi supporto, aprendo a un momento unico per il disco, dai toni quasi folktronici.

In conclusione: "Necessary Fictions" non avrà dalla sua il fattore sorpresa che rendeva dirompente "v. 2.0", né la maturità espressiva di "Man Made Object" e dell'album omonimo del 2020 (l'ultimo con Turner), ma è senz'altro l'album più dinamico e variegato rilasciato dalla band nella sua carriera. Approccia questo traguardo con coerenza, accostando soluzioni nuove senza tuttavia accantonare o depotenziare i tratti distintivi dello stile GoGo Penguin. "The Turn Withtin", traccia più lunga del disco con i suoi quasi sei minuti di durata, è emblematica di questa sobria molteplicità: tra pieni e vuoti, le sue continue metamorfosi rapiscono in un flusso cinematico senza mai cercare l'enfasi o il gioco di prestigio. I toni caldi del contrabbasso di Nick Blacka bilanciano i timbri astratti e fluttuanti dell'elettronica.
Certo, per qualcuno l'equilibrio ammirevole di questo nuovo album sarà un'occasione in più per accusare la band di un'austera e assai poco inebriante calcolatezza. Ma per gli altri - fan della prim'ora, storici perplessi sempre in cerca di un qualche guizzo e, vivaddio, anche chi scoprisse proprio ora la musica del trio - sarà difficile trovare una valida scusa per non ascoltarlo.

02/06/2025

Tracklist

  1. Umbra
  2. Fallowfield Loops
  3. Forgive the Damages
  4. What We Are and What We Are Meant to Be
  5. Background Hiss Reminds Me of Rain
  6. The Turn Within
  7. Living Bricks in Dead Mortar
  8. Naga Ghost
  9. Luminous Giants
  10. Float (Loi Krathong, 2003)
  11. State of Flux
  12. Silence Speaks

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