C'è un momento in cui ogni artista deve fare i conti con ciò che è diventato. Per Sam Fender, "People Watching" è quel momento. Le ombre di Bruce Springsteen non sono più fantasmi da inseguire o di cui giustificarsi, ma presenze con cui convivere. E poi c'è quella sua voglia di ergersi a voce della classe operaia, come un Ken Loach armato di chitarra, che a tratti rischia di suonare troppo carico, troppo emotivo, quasi come se talvolta sentisse il bisogno di scusarsi per non battere più quelle strade con la stessa insistenza di un tempo ("Crumbling Empire"). Ma è proprio in questo contesto che Fender compie un passo importante, trovando una sua definitiva identità, anche quando attinge a elementi presi in prestito da altri ma ormai indissolubili dal suo stile. D'altra parte, la produzione di Adam Granduciel dei War On Drugs spinge definitivamente la sua musica verso territori più ampi, più maturi.
Con "People Watching", Fender dimostra di essere molto più di un semplice cantautore: è un compositore di razza, capace di costruire brani che colpiscono dritti, senza mediazioni. La title track, rilasciata già lo scorso anno, è uno di quei pezzi che non può lasciare indifferenti: potente e scintillante, capace di riempire tanto le pareti di una stanza quanto lo spazio immenso di un'arena. E poi c’è il finale, "Remember My Name", una ballata che scava nel personale, dedicata ai nonni. Fender qui mette da parte ogni retorica per raccontare, con una sincerità disarmante, cosa significhi davvero tornare alle radici. Lì, in quell'indirizzo citato senza filtri ("11 Wark Avenue"), si sente il peso dei sacrifici, il senso profondo di casa, e, forse, anche la ragione per cui certe storie di working class heroes meritano di essere cantate.
Tra la brillantezza travolgente di "People Watching" e l'intimità dell'epilogo dell'abum, si snoda un percorso costellato di brani che arricchiscono l'opera di tante sfumature. C'è un cuore pulsante di ballate dall'ampio respiro ("Nostalgia's Lie", "Crumbling Empire") che forse avrebbero giovato di qualche cambio di tempo per spezzare l'andamento lineare, ma trovano comunque forza in melodie che si intrecciano al testo con naturalezza, lasciando che la musica avvolga lentamente, senza forzature. Il pianoforte, che fa capolino in più di un brano, diventa protagonista in "TV Dinner". Qui Fender cambia marcia, trasformando il canto in un flusso di parole rapide, quasi uno stream of consciousness (o, forse più precisamente, un flusso di lamentele sociali, dato il contenuto del testo). Il pezzo rallenta poi all'improvviso, avvolgendosi in archi cinematografici e violini che si fanno sempre più inquieti, creando un climax emotivo denso e inaspettato. Diversa è la forza di "Arm's Length", una traccia solida e "piantata a terra", senza inni da stadio o slanci di retorica sociale: un classico rock springsteeniano con un ritornello che ti resta in testa.
Con "Little Bit Closer", il cantautore inglese torna a mostrare la sua abilità di compositore, con un equilibrio perfetto fra chitarra e armonica che si alternano in modo fluido. "Rein On Me" svela, invece, un inaspettato lato folk di Fender, con piccoli accordi di chitarra che si intrecciano delicatamente alla melodia principale.
Con i precedenti album facilmente schizzati al disco di platino, sarebbe difficile immaginare un destino diverso per "People Watching" che, oltre alla già citata mano di Granduciel, può vantare la collaborazione di un produttore con un curriculum scintillante come Markus Dravs (Arcade Fire, Björk, Coldplay). Ma il vero traguardo qui non è tanto il successo commerciale, quanto la capacità di mantenere alta la qualità. È un album che ha la forza di soddisfare chi cerca cose diverse: chi vuole ascoltare un rock classico che non sembra mai fuori tempo, chi cerca l'energia del palco e chi, semplicemente, vuole sentire la voce di un cantautore capace di andare oltre le solite storie di relazioni tormentate, confrontandosi anche con temi sociali e politici.
24/02/2025