Tomorrow

Tomorrow - Una meteora psych nella Londra underground

Protagonisti della prima stagione psichedelica di Londra, presto oscurati dal successo di Pink Floyd e Beatles, i Tomorrow furono un supergruppo di virtuosi del rock, capace di produrre un album-chiave di un'intera stagione. Ecco la loro storia, strettamente intrecciata alle vicende dell'Ufo Club, tempio dell'underground londinese dell'epoca

di Giuseppe Rapisarda

Uno dei sogni (proibiti) di ogni appassionato di musica rock è quello di poter rivivere, se non da protagonista almeno da spettatore, una delle svariate epopee che la storia di questo genere ci ha regalato nel passato. Molti grazie a un’ipotetica macchina del tempo tornerebbero nella San Francisco della seconda metà degli anni Sessanta beccandosi in pieno la Summer of love e il festival di Monterey (i drug addicted anche gli acid test dei Grateful Dead…), e magari farebbero anche un salto nella costa est degli Usa a fine decennio per Woodstock, ma altrettanti si fionderebbero all’istante nella Londra dello stesso periodo. La seconda scelta è motivata non solo dal fatto che nella capitale britannica risiedevano molti dei mostri sacri del rock reduci dalla British invasion: in realtà parallelamente al fiorire della più modaiola e superficiale Swinging London, nasceva nella stessa città una florida scena underground strettamente collegata con il nascente fenomeno della psichedelia. Il movimento hippy, nato negli Stati Uniti metteva radici nella Londra sotterranea che dalla scena californiana mutuava oltre che lo stile musicale più libero e visionario (con le dovute e significative differenze del caso) l’estetica flower power e un’etica rivoluzionaria a base di individualismo, contestazione della società, libertà sessuale e uso delle droghe.

A gettare i semi per la nascita del movimento in Gran Bretagna fu nel 1965 il Festival Internazionale di Poesia (International Poetry Incarnation) alla Royal Alber Hall, che vedeva tra i protagonisti poeti beat del calibro di Allen Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti e William Burroughs, giunti in Uk con uno stuolo di pittoreschi hippies al seguito. Non meno importante, nel bene e nel male, fu l’introduzione in Inghilterra nello stesso anno dell’acido lisergico da parte di un misterioso personaggio, non troppo noto ma decisivo, ovvero l’americano Michael Hollingshead, colui che iniziò all’acido prima Timothy Leary (passato in seguito alla storia come il guru dell’Lsd) poi tre quarti dei Beatles (mancava all’appello solamente Ringo Starr), Keith Richards oltre che svariati intellettuali, registi e scrittori. La sostanza allucinogena era all’epoca esaltata come mezzo per l’espansione della coscienza e dell’ispirazione artistica, ed ebbe sicuramente un ruolo nell’evoluzione della musica rock verso la rivoluzione psichedelica, ma al contempo l’abuso dell’Lsd causò patologie psichiatriche segnando la vita di artisti come Syd Barrett e altri (negli Stati Uniti i meno noti al grande pubblico Skip Spence e Roky Erickson) che come lui hanno varcato la sottile soglia che divide il genio dalla follia.

Nell’anno successivo la corrente si smarcò dall’influenza Usa e si interessò maggiormente ai fermenti musicali prodotti da band in quel momento poco conosciute come i primissimi Pink Floyd (che ancora non avevano registrato alcun materiale) protagonisti di happening tenuti al celebre Marquee Club denominati Spontaneous Underground, eventi riservati a pochi iniziati presenti con abbigliamenti eccentrici o in bizzarri costumi, mentre la band capeggiata da Syd Barrett proponeva le sue prime sperimentazioni sonore. Sempre nel 1966 a dar corpo al movimento erano Barry Miles e John Hopkins, gli agitatori culturali che fondarono “International Times”, la prima rivista underground inglese che si occupava di poesia e musica. Lo stesso Hopkins insieme a Joe Boyd (il mitico produttore che lavorò anche al primo singolo dei Pink Floyd “Arnold Layne”) per sopperire ai problemi finanziari del giornale fondò alla fine dell’anno l’Ufo Club, locale dove transitavano le  migliori band emergenti dell’epoca e che purtroppo ebbe vita breve (ma intensa) visto che chiuse i battenti nell’ottobre del 1967. L’Ufo Club era il fulcro della musica underground: tra gli spettatori assidui si contavano i membri dei Beatles (che prendevano nota per la loro evoluzione stilistica), mentre sul palco si alternavano oltre ai già citati Pink Floyd, gruppi del calibro di Soft Machine, Procol Harum, Incredible String Band, Crazy World of Arthur Brown, Move, ma anche one-hit wonder come i Purple Gang e infine ultimi, ma non meno importanti, i Tomorrow.

Se la fugace carriera della band le consegna l’appellativo di meteora, allo stesso tempo potremmo parlare dei Tomorrow come di un supergruppo a posteriori: non certo per la presenza del bassista John “Junior” Wood, poi solo negli effimeri Aquarian Age, e solo in parte per quella del cantante Keith West che grazie alla partecipazione al progetto parallelo al gruppo del produttore Mark Wirtz raggiunse un effimero (ma significativo in termini di vendite) successo con il singolo "Excerpt From 'A Teenage Opera'" (o “Grocer Jack”) per poi finire nel dimenticatoio e dedicarsi alla produzione, piuttosto i Tomorrow verranno ricordati come il gruppo in cui militarono il batterista John “Twink” Alder, musicista cardine della storia del rock psichedelico (suonò, oltre che nei già citati Aquarian Age, dal ‘68 nei Pretty Things di “S. F. Sorrow”, nei Pink Fairies, nei fantomatici Stars, fugace esperimento durato poche settimane con a capo Syd Barrett post-Pink Floyd, come solista con l’album “Think Pink” uscito nel 1970, perla nascosta della psichedelia britannica, infine collaborò negli anni 80 con artisti neopsichedelici come Bevis Frond e Plasticland) e soprattutto Steve Howe, il virtuoso chitarrista che scriverà la storia del rock (progressivo e non solo) con gli Yes.
La storia del gruppo era intrecciata a quella dell’Ufo Club, tanto che il quartetto, inizialmente denominato The In-Crowd, cambiò nome dopo il rifiuto di Joe Boyd alla richiesta di suonare nel locale a causa della denominazione definita “troppo mod”. Cambiando il nome nel più visionario Tomorrow, la band riuscì finalmente a esibirsi all’Ufo nel 1967, anno in cui iniziò a produrre le prime canzoni.

Nel maggio ’67 uscì il primo singolo “My White Bicycle” che lanciò da subito i Tomorrow nell’ambito di quella che qualche critico successivamente ha definito “popedelia evoluta”, ovvero uno psych-pop-rock che inserisce elementi acidi e stranianti mediante l’uso di sonorità inedite, arrangiamenti barocchi ed esperimenti strumentali anche creati in studio, all’interno della forma canzone popolare facendola evolvere senza lanciarsi in suite o jam session debordanti, un sotto-genere che raggiunse lo zenit nello stesso periodo con i tardi Beatles e i primi Pink Floyd. Il brano, un garage-beat lisergico con un montaggio innovativo, sorretto da un ritmo ipnotico intrecciato a un florilegio di ricami elettrici, intarsi chitarristici, svolazzi di sitar e nastri mandati al contrario, è dedicato ai Provos, un gruppo anarchico olandese simboleggiato dalle iconiche biciclette bianche, e venne apprezzato dal dj John Peel che lo mandò in onda e invitò la band a esibirsi alla prima session live in assoluto del suo programma nel settembre ’67 contribuendo alla diffusione di quello che venne considerato un vero e proprio inno underground.
Nello stesso mese del live radiofonico uscì il secondo singolo “Revolution” che si rivelò esperimento ancora più audace in virtù di una costruzione complessa e sfaccettata, un collage introdotto da una misteriosa chitarra deragliante che sfocia in un attacco sonico di wah-wah acido (mentre Keith West inneggia alla rivoluzione) alternato a una strofa Merseybeat e a un ritornello classicheggiante: pezzo di grande creatività, ma di scarso appeal commerciale tanto da non raggiungere la top 40. A mettere i bastoni tra le ruote alla band non fu tanto l’insuccesso del secondo 45 giri quanto il fatto che nel frattempo Keith West si stava dedicando alla collaborazione con il produttore della Emi e degli stessi Tomorrow Marc Wirtz per “Teenage Opera”, un ambizioso progetto poi abortito ma che valse al cantante il secondo posto in classifica con il già citato singolo “Grocer Jack” che peraltro andava in direzione stilistica diversa da quella della band confondendo i fan.

Il progetto parallelo fece slittare l’uscita dell’omonimo Tomorrow, registrato nell’estate del 1967, ma uscito solo l’anno successivo, un ritardo decisivo se si pensa che l’anno (di grazia) in questione, cruciale per tutta la storia del rock, è ricordato, solo per limitarci agli esordi (e solo in ambito psichedelico), per i debutti di Pink Floyd, Velvet Underground, Doors e Jimi Hendrix, senza contare che a breve distanza di tempo l’interesse per la musica psichedelica avrebbe iniziato a declinare. I Tomorrow persero per pochi mesi il treno per un possibile successo, ma il loro disco rimane un documento validissimo per rappresentare quell’epoca magica e irripetibile. Contando i singoli che lo precedono (e che emergono come pezzi di punta), Tomorrow affonda le radici nel beat di Kinks e Beatles (“Colonel Brown”), ma arricchito da arrangiamenti caleidoscopici (la tastiera che illumina “Shy Boy” come un arcobaleno, il carillon barocco di ”Auntie Mary’s Dress Shop” degno del Barrett più ludico) o sporcato da soluzione e melodie più acide (“The Incredible Journey Of Timothy Chase”, un delizioso zuccherino intinto nell’Lsd). Il legame con i Fab Four è suggellato dalla fedele cover di “Strawberry Fields Forever”, priva della magia del mellotron, sostituito dalla chitarra, ma apprezzata dallo stesso John Lennon.
La versatilità della band si accentua maggiormente quando si muove anche al di fuori dello stile sixties-british-pop, aggiungendo suggestioni alternative come in “Now Your Time Has To Come” in cui si alternano schegge freakbeat allo stupore allucinogeno tipico della Summer of love statunitense evocato da armonie vocali estatiche per poi perdersi in assolo visionario di Steve Howe, segno di una tecnica sopraffina ma non fine a se stessa, semmai protesa al viaggio mentale, e in “Real Life Permanent Dream”, che interseca lo psych folk dei Love più vivaci  a suggestioni raga-rock.
A completare la tracklist originale è “Hallucinations”, l’ennesimo, splendido inno flower-power sul tema dell’espansione della coscienza indotta dall’uso delle droghe, posto a corollario di un disco purtroppo poco conosciuto e relegato in un ambito di nicchia, ma che andrebbe affiancato per qualità alla trimurti della psichedelia britannica (“Stg. Pepper’s Lonley Hearts Club Band”, “The Piper At The Gates Of Dawn” e “S. F. Sorrow”) grazie al convogliare del talento melodico di Keith West, del lavoro certosino e creativo in studio del produttore Mark Wirtz (Hopkins e Burges, gli autori dei brani, sono i loro pseudonimi) e del contributo fondamentale di Steve Howe, la cui chitarra ora dolce e avvolgente, ora aggressiva e potente, a volte orientaleggiante e spesso satura e acida come si confà allo stile psichedelico, è un elemento decisivo e distintivo del gruppo, oltre che testimonianza delle capacità del chitarrista prima della sua svolta prog.
Dunque, un album che ogni appassionato di certe sonorità dovrebbe conoscere, possibilmente nella versione cd ristampata dalla Emi nel 1999 che contiene materiale davvero interessante e di impervia reperibilità, sia della band che dei futuri progetti dei suoi membri: a firma Tomorrow troviamo il discreto garage-mod “Claramount Lake”, B-side del singolo “My White Bicycle” escluso senza rimpianti dall’album, l’inedito “Now Your Time Has Come” che invece col suo incedere folk-rock l’album l’avrebbe arricchito di un’ulteriore sfumatura, una cover di “Why” dei Byrds e le a loro modo interessanti versioni alternative di “Real Life Permanent Dream” (velocizzata ed elettrificata) e di “Revolution” (al contrario depotenziata in termini di watt ma certo non meno acida e ancor più avvolgente); i singoli degli Aquarian Age, fugace progetto di Twink e di John “Junior” Wood, nel segno di un acid-folk sempre più visionario di marca hippy (e trippy), preludio all’album solista di Twink; infine gli unici brani di Keith West come solista, dotati di un gusto beat sopraffino culminante in “On A Saturday”, un instant classic con ritmica vivace e melodia da ko tecnico, purtroppo finita nel dimenticatoio come del resto il suo autore, che in queste pepite pop dava l’impressione di poter diventare un novello Ray Davies e invece abbandonò il microfono e la composizione per defilarsi nel ruolo di produttore.

I Tomorrow, che ormai avevano perso l’occasione di sfondare e i cui componenti erano in procinto di prendere strade diverse con alterne fortune, si sciolsero poco dopo l’uscita dell’album omonimo, il loro unico in studio, e l’unico in assoluto per trent’anni fino all’uscita nel 1998 della compilation 50 Minute Technicolor Dream, appetibile per i completisti ma non irrinunciabile per gli altri. Accanto a brani inseriti nella ristampa espansa dell’album omonimo (però uscita nell’anno successivo), la raccolta contiene due canzoni scritte per la colonna sonora del film “Blow Up” di Michelangelo Antonioni (il regista alla fine preferì i più noti Yardbirds, con l’ennesima beffa per i Tomorrow…), altre due registrate al programma Top Gear della Bbc, e infine le registrazioni di valore documentale ma di non eccelsa qualità del live “Christmas On Earth”, datato 22 dicembre 1967, concerto-evento che chiuse il momento di maggior splendore di un movimento, almeno ai massimi livelli, durato il tempo di una stagione, proprio come l’avventura degli sfortunati Tomorrow, la cui meteora, seppur avvistata da pochi appassionati, ha lasciato una scia indelebile tra le stelle del firmamento del miglior rock psichedelico di ogni tempo.

Tomorrow

Discografia

Tomorrow (1968)

8

50 Minute Technicolor Dream (1998)

6

Pietra miliare
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