Lunghi capelli rossi, pelle bianca, lentiggini: Loreena McKennitt rivela anche nell'aspetto l'origine irlandese. La sua famiglia emigrò dall'Isola verde nel 1830 per approdare oltreoceano, nelle praterie di Winnipeg, in cerca di fortuna. Ed è a Morden, nel Manitoba, che Loreena è nata nel 1957. Il padre era un commerciante di bestiame, la vita in famiglia quella rurale di una grande fattoria (e tutt'oggi la cantautrice canadese vive in un ranch nell'Ontario). Ma lei, fin dal piccola, avvertiva il richiamo delle sue radici: la magia delle fiabe d'Irlanda, i versi di Shakespeare e il suono delicato dell'arpa celtica, con cui creò le sue prime composizioni. "E' uno strumento visionario, versatile - racconta - e possiede un suono poetico. Un suono gentile, ma anche ricco di articolazioni. Ti permette di passare da toni molto sottili a toni molto drammatici. Avevo studiato pianoforte classico per dieci anni e canto classico per cinque. Conoscevo le scale e gli arpeggi ed ero percio' in grado di adattarli all'arpa".
All'inizio è una dura gavetta. Loreena suona per la strada, cercando di vendere le prime cassette con le sue interpretazioni. "Un'esperienza utile - ricorda - perché mi ha dato un senso d'indipendenza e mi ha permesso di conoscere tanta gente interessata a quello che facevo". Nel 1985, il disco d'esordio Elemental mette subito in luce l'eleganza e la spiritualità della sua musica, che aggiorna i "traditional" irlandesi con una sensibilità moderna, vicina per certi versi alla new age. E già si coglie la magia della sua voce cristallina, che viaggia su un registro etereo nello stile di Enya, ma riesce a essere ancor più aulica. L'album è per lo più una raccolta di pezzi folk tradizionali, cui si aggiungono due composizioni inedite che rivelano la predilezione della cantautrice di Toronto per poeti metafisici come William Blake ("Lullaby") e William Butler Yeats (la solenne ode di "Stolen Child"). Ma già emerge l'obiettivo del suo progetto: espandere il senso del folk celtico nella musica contemporanea, per aggiornare quella musica istintiva e passionale, verso la quale era stata attratta fin da ragazzina, sulle note dell'arpa celtica di Alan Stivell.
Nel successivo To Drive The Cold Winter Away, McKennitt suona tutti gli strumenti e regala altre composizioni inedite, tra cui la musica da corte strumentale di "Banquet Hall" e un pezzo per sola voce, "Stockford Carol".
Parallel Dreams, concept-albumonirico e visionario, avvia il corso più creativo della sua carriera. Le sue litanie, talvolta, appaiono monotone, ma il clima tragico di "Breaking The Silence" e l'incedere appassionante di "Huron Beltane Fire Dance" mostrano un talento in crescita.
Nel frattempo, aumenta anche lo spettro delle sue influenze musicali: non più solo folk anglosassone, ma anche musica di India ed Estremo Oriente. "Per me - racconta - è come un esperimento di alchimia musicale, che preparo leggendo libri, ascoltando documentari, viaggiando, parlando con la gente. Alla fine cerco di realizzare una composizione creativa, come in un dipinto. Mi interessano in particolare le similitudini tra culture apparentemente lontane. Una tabla indiana può sonare come un Bodhran irlandese. Puoi scoprire ad esempio una tonalità che nella musica indiana viene dal tamburo e nella tradizione celtica dalle cornamuse. Così posso sostituire le cornamuse con i tamburi o viceversa. Oppure posso provare a mescolare i ritmi del Medio Oriente con i campioni celtici".
I progressi sono ancora più tangibili in The Visit (1992) in cui McKennitt si cimenta con arpa, fisarmonica e tastiere. Il disco traccia l'affresco di un mondo magico, immerso nei fumi del tempo. L'incantevole, struggente strumentale "Tango To Evora", il tenero bisbiglio di "The Old Ways", il madrigale di "Cymbeline" trasportano subito nelle atmosfere spirituali e malinconiche del disco; mentre "All Souls Night" è una ballata epica, battuta da un tempo marziale, in cui la voce di McKennitt fluttua eterea e spettrale, come nel miglior stile di Nico. Malgrado la presenza di "The Lady Of Shalott", omaggio al folk dei Pentangle, e di un paio di traditional, con questo disco McKennitt esce progressivamente dal solco della tradizione irlandese. Concedendosi una divagazione anche nella Russia profonda delle steppe. "La gente pensa ai Celti come a una popolazione irlandese o scozzese, ma non tutti sanno che molte tribù celte provenivano dall'Est europeo - ricorda -. Cosi' 'The Visit", il titolo dell'album, si riferisce proprio a un viaggio in quelle culture che hanno segnato la storia dei celti. Proprio per documentare queste influenze orientali, ho usato strumenti come tamboura, sitar, udu drums e balalaika".
Ma è nel 1994, con The Mask And Mirror, che la cantautrice canadese perviene al suo capolavoro. È un altro concept-album, dedicato questa volta alla Spagna dell'Alto medioevo, crocevia di judaismo, Islam e cristianità. Il lavoro conserva la poliedricità dei precedenti, ma offre brani ancora più affascinanti. Come il saltarello di "Santiago", la tenera "Bonny Swans", la paradisiaca "Full Circle", il soffice bisbiglio di "The Dark Night Of The Soul", la cantilena drammatica di "Marrakesh Night Market" (tra percussioni arabe, fisarmonica, balalaika e violino tzigano), la litania esotica di "Mystic's Dream" (tra tastiere, organo, tabla, cornamuse e cori) o ancora l'inno rinascimentale di "Prospero's Speech" (su un testo di Shakespeare).
L'album è impreziosito da una moltitudine di strumenti occidentali ed esotici, oltre che dalle tastiere elettroniche. E i brani sono frutto di una fusione perfetta di classicheggiante, esotico e pop. Un disco memorabile, insomma, nato da uno studio profondo, non solo sulla musica. "Mi sono concentrata soprattutto sui mistici del Quindicesimo secolo, da San Giovanni della Croce a Teresa d'Avila, ma ho cercato riferimenti anche nelle poesie d'amore di quel periodo", spiega la cantautrice di Toronto.
Durante una traversata della Transiberiana, Loreena McKennitt compone
The Book Of Secrets, l'album che la consacra star mondiale con tre milioni di copie vendute. È un altro saggio delle sue capacità di vocalist raffinata, e un viaggio nella musica etnica di ieri e di oggi, dall'inno solenne di "The Mummers' Dance" fino all'incalzante ballata "The Highwayman", passando per "La Serenissima" (serenata barocca per arpa, viola e violoncello) e il Caucaso ("Night Ride Across The Caucasus"), rievocando i miti di "Marco Polo" (violino, tablas, cantilena senza parole) e Dante ("Dante's Prayer", preghiera per coro, violini e pianoforte).
Le canzoni di Loreena McKennitt sono sospese in un "tempo senza tempo", perdute tra i ricordi di un passato profondo e inquieto. "Credo che una parte delle mie ricerche mi abbia fatto esaminare a fondo qualche secolo lontano - spiega - e mi immagino che fossero bei tempi, per quanto duri e scomodi da vivere. Credo che la cosa che più mi attrae delle culture passate sia la dimensione di quelle comunità, e la composizione di queste comunità, e il fatto che quel tipo di vita funzionasse in un modo strettamente integrato: si sapeva chi fossero i negozianti, coltivavi le tue produzioni, e credo sia facile cadere nella trappola di una visione romantica di tutto ciò, ma credo che in fondo significhi ritornare a un tipo di vita più facilmente comprensibile e significativa per ognuno. Così mi trovo affascinata nell'esaminare quelle culture ma allo stesso tempo credo che quelli fossero tempi durissimi".
Anche la vita privata di Loreena è stata segnata da momenti durissimi. Il fidanzato Ronald Rees, il fratello di quest'ultimo, Richard Rees, e un amico, Greg Cook, sono morti in un incidente di canottaggio sul lago Huron. In seguito alla tragedia, la cantautrice canadese è rimasta lontana dalle scene per nove anni e ha deciso di finanziare il Cook-Rees Fund For Water Search And Safety. A questo fondo ha deciso di devolvere il ricavato del suo primo album dal vivo,
Live in Paris and Toronto, inciso per la Quinlan Road, la sua storica etichetta di Stratford, Ontario. Il disco contiene oltre 100 minuti di musica per 17 brani, remixati in Inghilterra presso i Real World Studios di
Peter Gabriel.
Tra il 2000 e il 2005 Loreena viaggia incessantemente, approfondendo il suo orizzonte verso le porte dell'Europa, il Medio Oriente e l'Asia. Tra il 2005 e il 2006 è di nuovo in studio per il nuovo lavoro, nove anni dopo l'ultima prova.
An Ancient Muse esce il 20 novembre 2006 ed è ancora una volta frutto della collaborazione con la Real World. Il disco spazia dalla mitologia nella Grecia di Omero (la struggente "Penelope's Song") alla storia della Turchia ottomana ("The Gates Of Istanbul", "Caravanserai"), fino a ritrovarsi in tempo di Crociate nell'antica Inghilterra ("The English Ladye And The Knight").
Le suggestioni arabe e mediorientali prendono il sopravvento, connotando in modo decisivo il
sound, sempre elegante, anche se a volte sul filo della maniera.
Nel 2007 McKennitt è tornata in tour, dopo molti anni di assenza dal palco.
Un ritorno sulle scene suggellato tre anni dopo da un nuovo album,
The Wind That Shakes The Barley, registrato fra le antiche mura del tempio di Sharon, a nord di Toronto. Nove tracce, nessun inedito: tutte rivisitazioni dei grandi classici celtici, reinterpretati con strumenti tradizionalissimi, svecchiati solo da qualche sparso eco elettronico, tutti legati da un comune sfondo socio-politico.
Un ritorno alle origini profondamente biografico, che però lascia ben poco da dire, risultando quasi insignificante per la carriera della McKennitt.
L'apertura è affidata alla canzone sulla carestia irlandese, "As I Roved Out On A Bright Day Morning", che l'eclettica compositrice divide in due momenti. Il primo è un'allegra ballata campestre per chitarra country, voce, cornamuse, fiddle e percussioni. Il continuo è un meditativo per vocalizzi aulici, synth e chitarra. L'alternarsi di pezzi dinamici con brani pacati si ripercorre per tutto l'album e ne determina la fruibilità e la fluidità. Ecco, infatti, la strumentale "Brian Boru's March", che inizia silvestre e fiabesca nelle gocce di cristallo dell'arpa, fra il vento dei
tin whistle, per sfociare poi in una gran marcia per cornamuse e fiddle. Scivola languido e celestiale, invece, il lamento di "Down By The Sally Garden", reinterpretata con sincera fedeltà. Le danze vengono riaperte dall'accattivante girotondo di "Star Of The County Down", ma solo per essere subito spezzate da un teso racconto, notturno come una riunione segreta: "The Wind That Shakes The Barley", ballata che inneggia alla resistenza, scritta da Robert Dwyer Joyce in occasione della ribellione irlandese del 1798.
La dolce e patriottica "The Death Of Queen Jane", la strumentale, salmastra "The Emigration Tunes" e la conclusiva, sincera e calorosa "The Parting Glass" cantano quello che è insieme un addio e una promessa di ritorno per i luoghi dell'arpa celtica.
Il secondo ritorno si chiama
Lost Souls (2018), il primo disco d'inediti in dodici anni. A parte “Spanish Guitars And Night Plazas”, comunque affidata più che altro alla bravura dei turnisti, è un'opera che fa della leziosità (o peggio della pompa) il suo fondamento, troppo spesso basandosi sulla ballad painistica e il solito furbo modo d'inno (“A Hundred Wishes”, “La Belle Dame Sans Merci”, la
title track) e dimenticandosi ancora una volta della sua arpa (“Ages Past, Ages Hence”). Nemmeno gli strumentali arabeggianti, ormai anche questi prevedibili, riescono a movimentare a sufficienza l'insieme.
Per chi gira il mondo in lungo e in largo non c’è un momento migliore paragonabile all’imboccare la strada di ritorno verso casa. Quella smania che ti avvolge al solo pensiero di rivedere gli affetti, il proprio habitat, magari dopo mesi di lungo e faticoso lavoro, è impagabile e un’artista del calibro di Loreena McKennitt, che questi processi li ha vissuti per svariati decenni nei quali ha ottenuto eccellenti soddisfazioni professionali, ha bene impressa nella mente qual è la spinta e la voglia di rivivere quelle sensazioni.
The Road Back Home, è questo il titolo del nuovo lavoro della cantautrice e polistrumentista canadese pubblicato nel 2024, appare assolutamente legato a tutte le percezioni appena descritte. L’album è contraddistinto dal forte e voluto richiamo alla terra natia, che l’artista di Morden ha voluto infondere nei brani che lo costituiscono, dov’è altrettanto evidente il ritorno stilistico alla forma tradizionale della musica celtica connessa direttamente alle fasi che avevano caratterizzato l’origine del suo percorso artistico.
A Stratford, nell’Ontario, dove Loreena vive fin dagli anni Ottanta, si è tenuta una riunione del tutto casuale con un gruppo di musicisti celtici locali. Da quest’incontro è sfociata parte dei suoi concerti natalizi del 2021, poi pubblicati nel 2022 con il titolo
Under A Winter's Moon.
Gli stessi musicisti hanno poi accompagnato la McKennitt anche quest'estate nei citati festival folk, congiuntamente alla sua consolidata collega, la violoncellista Caroline Lavelle. Seguendo il puro istinto tipico della tradizione popolare, in uno di questi spettacoli ha fortuitamente partecipato anche il cantautore canadese James Keelaghan, che ha regalato la propria voce allo standard tradizionale scozzese/irlandese "Wild Mountain Thyme". Le passioni scaturite da quegli spettacoli sono state impresse e registrate con il fermo obiettivo di catturare la profonda empatia generatasi in quei momenti e il forte valore d’unione che tali emozioni hanno fatto germogliare nel cuore dei fans e ancor di più in quello degli stessi musicisti.
La scaletta prevede alcuni brani totalmente inediti (“Searching For Lambs” e la vivace “Mary & The Soldier”, tra i molti altri) che risalgono ai primi giorni di frequenza della McKennitt nel circuito folk, assieme ad alcune rivisitazioni, in chiave decisamente più etnica rispetto agli originali, di episodi che hanno contraddistinto la sua storia, quali “On A Bright May Morning” e “As I Roved Out”, entrambi provenienti da “The Wind That Shakes the Barley” del 2010 e “Bonny Portmore” (colonna sonora del film “Highlander III”) addirittura risalente a
The Visit del 1991.
Viene dato spazio anche agli immancabili strumentali, che nella cultura musicale celtica occupano un posto di assoluto rilievo. Il crescendo su cui si diffondono “Custom Gap”, “Greystones” e l’inedito “Salvation Contradiction” riempiono l’atmosfera come solo queste profonde e contagiose armonie sanno fare. Le vesti con le quali sono agghindati questi passaggi sono, come descritto, di stampo puramente folk e si addentrano nella celtica contemporanea, affascinante e sinuosa, levigata dal suono di strumenti quali arpa e fisarmonica, da mandolino, chitarra acustica, violini, banjo e percussioni varie, per non trascurare il tipico pemperino, volgarmente identificato anche come flauto a fischietto, per un coacervo di vibrazioni che unite all’aulica e inalterata vocalità della McKennitt, fanno compiere un salto indietro nel tempo, perdutamente ancorato ai profumi e ai suoni che solo la natura può regalare.
Contributi di Rossella De Falco ("The Wind That Shakes The Barley"), Michele Saran ("Lost Souls"), Cristiano Orlando ("The Road Back Home")