Poveri genitori contadini
Certo siete invecchiati e ancor temete
Il Signore del cielo e gli acquitrini
Genitori che mai non capirete
Che oggi il vostro figliolo è diventato
Il primo fra i poeti del Paese
Ed ora in scarpe verniciate
E col cilindro in testa egli cammina
Ma sopravvive in lui la frenesia
Di un vecchio mariuolo di campagna...
(da "Confessioni di un malandrino")
Titolo: Confessioni di un malandrino - Autobiografia di un cantore del mondo
Autore: Angelo Branduardi con Fabio Zuffanti
Editore: Baldini + Castoldi
Pagine: 192
Prezzo: 17 €
L’Italia – com’è noto – è uno strano paese. E la musica non si sottrae certo all’andazzo generale. La storia di Angelo Branduardi è quasi paradigmatica di come un artista straordinario debba attendere fortunati incroci astrali per venir preso in considerazione e possa poi restare identificato per decenni solo con quei 2-3 successi in classifica, a dispetto di una produzione ricchissima che altrove (chi ha detto Francia?) basterebbe a farne un monumento nazionale.
In un’intervista al Corriere della Sera di tre anni fa, alla domanda di Luzzatto Fegiz su quale fosse il suo ultimo ricordo in televisione, l’ineffabile menestrello rispose così: “Una puntata di Odeon curata da Paolo Giaccio del 1977 in cui cantavo ‘Alla fiera dell’est’ all’Abbazia di Chiaravalle vicino a Milano, in un giorno in cui nevicava abbondantemente”. Ecco, si dà il caso che l’ultima performance di Branduardi in tv sia anche stata la prima e che chi scrive, benché avesse solo dieci anni, la ricordi nitidamente. Casualità volle infatti che l’autore del servizio, il giornalista del Tg2 Luca Ajroldi, fosse un amico di famiglia e ci avesse prontamente avvisato che quel cantautore che aveva appena intervistato era “un personaggio incredibile, un fenomeno, che sarebbe esploso sicuramente”.
Da allora iniziò anche il mio interesse per Angelo Branduardi, che, allo scoccare dei settant'anni, riceve finalmente la consacrazione “letteraria” che avrebbe sempre meritato, grazie a questo volume firmato con una nostra vecchia conoscenza: Fabio Zuffanti, scrittore, musicista e critico musicale, anche per OndaRock. “Confessioni di un malandrino - Autobiografia di un cantore del mondo” (Baldini+Castoldi) è infatti il primo racconto sulla vita e sulla carriera del cantautore lombardo, che mette da parte per una volta la sua proverbiale riservatezza ripercorrendo le vicende che hanno segnato la sua vita artistica e familiare: l’infanzia poverissima, tra Cuggiono (Milano), dove è nato il 12 febbraio 1950, e Genova, dove si trasferì con i genitori quando aveva solo tre mesi; quindi, la scoperta della musica, l’amore a prima vista e il sodalizio artistico con la moglie Luisa, e finalmente il successo, dopo le fatiche degli esordi, in un clima reso incandescente dalla contestazione, e tutti i passaggi cruciali della sua carriera.
Si diceva proprio delle difficoltà incontrate da Branduardi nel riuscire a emergere, nonostante l’indubbia originalità e qualità della sua musica. E nel libro lo stesso artista lombardo ricorda come fu proprio quel servizio in tv la svolta cruciale: “Il giorno dopo la trasmissione, la mia vita cambiò per sempre. Ricordo che andai a fare la spesa al supermercato e tutti mi additavano. Da un momento all’altro passai dall’essere un artista di nicchia a esplodere e diventare uno dei principali protagonisti della scena musicale italiana. E pensare che all’inizio non avevamo assolutamente compreso le potenzialità di ‘Alla fiera dell’est’: nel 45 giri estratto dall’album, infatti, a questo brano era stato destinato il lato B, mentre sul lato A avevamo messo ‘Il dono del cervo’, che ci sembrava più promettente come hit. Il destino ha voluto invece che a trasformarsi in un successo folgorante fosse ‘Alla fiera dell’est’, successo che non si è mai esaurito nel corso degli anni, al punto che oggi quella canzone non mi appartiene nemmeno più: tutti la conoscono e la cantano, dai bambini ai nonni, è diventata patrimonio popolare senza che necessariamente si sappia chi è Branduardi. Mi ha garantito un pizzico di immortalità”.
E pensare anche che l’accoglienza del patron della Rca, Ennio Melis, per quella canzone ispirata a un canto della pasqua ebraica sefardita (rivelato a Branduardi dal manager David Zard) era stata tutt’altro che entusiastica. “Mise sul giradischi l’album e appena partì ‘Alla fiera dell’est’ bastò la parola ‘topolino’ per farlo scoppiare in una fragorosa risata. ‘Ma cos’è questa roba? Vi faccio ascoltare io qualcosa di serio’. Mise quindi su la Schola Cantorum, e ci congedò”, racconta Branduardi in uno dei capitoli centrali del volume. Per fortuna, il tempo si è incaricato di farsi gentiluomo ancora una volta. Con buona pace di Melis e della Schola Cantorum.
Ma, paradossalmente, quel successo così spropositato fu anche una condanna. Perché nell’immaginario collettivo, Branduardi rimase a lungo “quello della Fiera dell’est”. O tutt’al più di altre due-tre hit (“La pulce d’acqua”, “Ballo in Fa Diesis Minore”, “Cogli la prima mela”). Ecco allora che tra gli obiettivi di “Confessioni di un malandrino” – dal titolo di un suo celebre e commovente brano autobiografico (da “La luna”, 1975) – c’è proprio quello di andare oltre il già noto, scavando nella storia artistica e umana di Branduardi in cerca della sua essenza più autentica, grazie anche a una intervista-fiume in cui il musicista lombardo non si sottrae alle curiosità, rivelando particolari e retroscena anche inediti. Come quelli che portarono al coinvolgimento di Paul Buckmaster – il genio dietro hit stellari come “Space Oddity”, “Angie” e “Your Song” – pagato mille sterline e ospitato nel monolocale milanese di Branduardi per poter partecipare alla realizzazione del suo primo Lp omonimo. O come quelli, più intimi, dell’incontro-folgorazione con la futura moglie e musa Luisa Zappa, “di buona famiglia, non figlia di sottoproletari come me”, che lo fece conoscere al temutissimo padre: “Mi presentai con la mia bella massa di capelli e dei sandali da francescano ai piedi. Incredibile ma vero, quando mi vide disse immediatamente alla figlia: ‘Questo mi piace’”.
Grazie anche alla prosa raffinata e sagace di Zuffanti, affiorano la speciale umanità e l’ironia sottile di questo irriducibile trovatore italiano, come preferisce definirsi rispetto all’abusata – anche da noi – espressione ‘menestrello’: “Mi sono sempre sentito un trovatore, quello che io faccio è viaggiare da una parte e riportare ciò che ho visto da un’altra – racconta nel libro - Adoro raccontare delle storie. Il marchio che però mi hanno sempre affibbiato è quello del menestrello; so che i due termini possono equivalersi, però ‘trovatore’ è una parola più affine a ciò che sento di essere. Il menestrello lo si immagina come una persona gentile, sorridente, gioiosa… io invece, nella mia musica, spesso ho cantato anche storie oscure, con rabbia, e quasi gridando”. Un lato che identifica come il suo “Sole Oscuro”, condiviso con tutti quegli artisti che vivono “in un perenne stato di ipersensibilità, che è il loro dono, ma anche la loro condanna”.
Un artista completo, insomma, che ha esplorato i vasti territori del suono, navigando tra le culture, tra sacro e profano, ben supportato dalla moglie Luisa - da sempre autrice dei testi e stimolo costante per la sua ricerca – in una saga che ha narrato le gesta di san Francesco (indimenticabile “Il sultano di Babilonia e la prostituta” con Franco Battiato) e musicato poesie di Sergej Esenin e William Butler Yeats, ha scritto colonne sonore per il cinema e sperimentato con l'elettronica, ha raccontato favole e leggende di ogni angolo del globo. Incluse le recenti vicende di “Il cammino dell'anima”, album ispirato dalla vita e dalle opere di Hildegard von Bingen, monaca reclusa secondo la regola di San Benedetto fin dall’età di 8 anni e poi badessa di Bingen, ma anche mistica, poetessa, musicista, filologa ed erborista, nonché “femminista ante litteram”. Ma la storia non finisce qui, perché – come scrive nel commiato del libro – “è tempo che io prenda le mie cose e riparta, in attesa di rivederci in una nuova piazza, in un teatro, o in qualunque altro luogo si possa creare magia tramite la musica”.
Questo è Angelo Branduardi. Un umile musico in abiti francescani, ma illuminato da un talento speciale, di cui è stato sempre consapevole, senza false modestie: “Ero convintissimo di essere bravo e volevo dimostrarlo al mondo”, racconta, a proposito dei primi, difficili anni della carriera, in cui i cantautori potevano anche finire sotto processo, come De Gregori al Palalido. E il mondo, alla fine, se n’è accorto. Anche fuori dai patrii confini (straordinario ad esempio il concerto in Germania fotografato sul live “Camminando camminando”, 1996). In attesa che gli sia definitivamente assegnato il posto che merita nell’empireo musicale italiano, “Confessioni di un malandrino” offre una preziosa cartografia di storie e ricordi per poter decifrare una delle personalità più interessanti e atipiche emerse dalla ricchissima scena cantautorale italiana degli anni Settanta. Completano il volume una prefazione di Stefano Bollani e un'ampia appendice discografica a cura di Laura Gangemi, principale animatrice del fanclub ufficiale di Angelo Branduardi, Locanda del Malandrino.