Residents

Six Things To A Cycle

Residents - Six Things To A Cycle
(inclusa nell'album "Fingerprice", Ralph, 1970)


Tra le creature più bizzarre nate nella città di San Francisco - terra madre di tanta psichedelia americana - vi sono certamente i Residents, band tra le più oscure che la storia del rock ricordi, capace di trasformare i sogni della generazione hippie in apocalittiche descrizioni di futuri catastrofici. Nel 1977 - anno di pubblicazione di “Fingerprice” - i nostri avevano già elaborato approfonditamente sia la teoria dell’oscurità che il concetto di de-evoluzione (concetto uguale e opposto all'evoluzione darwiniana) con l’Ep d’esordio “Santa Dog” (1972) e con gli Lp “Meet The Residents” (1974) e “Not Available” registrato nel 1974 ma pubblicato solo nel 1978. Se con questi tre album la devoluzione creata dal consumismo/capitalismo, la teoria dell’oscurità e una visione del futuro opposta a quella delle generazioni precedenti (non più l’idea degli anni 50-60 di un progresso che migliori costantemente il benessere della società, bensì un futuro visto come una lunga strada che porta a inevitabili scenari distruttivi) avevano trovato vari brani di riferimento, con “Six Things To A Cycle” i Residents ci regalano la colonna sonora della devoluzione, la definitiva suite dell’involuzione umana che traccia un percorso antropologico - diviso in sei parti - che parte dalla genesi del genere umano (l’uomo primitivo non ancora “contaminato” dalle regole del capitalismo), attraverso l’uomo “consumatore”, il post-uomo e la sua inevitabile fine. Una fine che - questa volta - non è un “nuovo inizio”, ma una pietra tombale su ogni aspirazione umana.

Il messaggio di questa grottesca suite è che la devoluzione umana è già in atto, che il suo percorso è inevitabile e che nulla potrà fermarla. Quella dei Residents è una delle più lucide (e di conseguenza inascoltate) letture della società moderna, dell’uomo incapace di una prospettiva di bene comune, trasformato in un automa demente compulsivamente alla ricerca di nuovi prodotti che possano placare - per pochi attimi - la sua ansia e regalargli brevi momenti di serenità (in attesa dell’imminente prossimo oggetto da desiderare).



La suite inizia col primo movimento, con l’uomo primitivo libero e ancora in contatto con la natura. Si odono rumori di foreste, alberi, canti di uccelli, urla umane che ricordano il cave-rock dei Cromagnon. E’ soprattutto una grande suite di percussioni che strizza l’occhio a uno dei capolavori di Edgar Varese, la monumentale opera per tredici percussioni “Ionisation”. L’idea che le società primitive siano le uniche incontaminate dalla modernità, dalla pervasività del denaro che distrugge i rapporti tra gli uomini, verrà successivamente ripresa nel celeberrimo “Eskimo” (1979), fenomenale lavoro di antropologia e musica concreta che descrive la vita e le abitudini del popolo eschimese visto con gli occhi benevoli di chi sa che neanche il glaciale Artide può fermare l’ondata inarrestabile delle regole del capitalismo moderno. L’evoluzione continua nel secondo movimento con l’ingresso di strumenti più “evoluti”, in particolare i fiati e il piano, ma la strada per la disumanizzazione è brevissima.



Dal terzo movimento fa l’ingresso un bizzarro sintetizzatore che riprende il motivo precedente, ma facendo “regredire” il suono a semplice scherzo infantile con percussioni che si fanno meccaniche e ripetitive, quasi robotiche, come a testimoniare un passaggio successivo nella evoluzione che sta per trasformarsi in devoluzione.



Nel quarto movimento la devoluzione è completa, ma non ancora al suo apice; le atmosfere sono funeree, le voci umane ripetono ossessivamente - riprendendo lo stesso ritmo delle percussioni precedenti - “chew chew gum chew gum gum chew chew”. Sono le frasi di un uomo ormai inebetito dalla pubblicità e dal consumismo, che non ha più alcuna possibilità di riprendersi. Il chewing gum diventa l’emblema dell’inutilità della corsa alla produzione smodata del mercato moderno. Anche qui c’è un forte legame con gli eschimesi di “Eskimo” che - tra le terrificanti folate del vento glaciale dell’Artico - iniziano a restare affascinati dalle promesse di benessere del consumismo e cantano in coro frasi come “Money, Money, Money” o “Coca Cola Is Life! Coca Cola Is Life!”. Segno, da una parte dell’ironia dei Residents, dall’altra della loro diffidenza verso il genere umano, condannato inesorabilmente alla discesa senza fine della devoluzione, anche nelle sua forma di civiltà più primitiva e isolata. L’unico futuro che appare chiaro è l’inevitabile quanto meritata estinzione.



La devoluzione diventa definitiva, raggiungendo il suo zenit, nel quinto movimento. I sintetizzatori creano folate di note cupe che ci catapultano in una grottesca atmosfera da cabaret malato, balletto osceno per automi deumanizzati, uomini ormai decerebrati che assistono - in uno spoglio teatro - al tetro, immondo spettacolo di orrende ballerine “mummificate”. E’ il culmine delle idee e del pessimismo dei Residents che proprio in questa suite raggiungono il massimo della loro lucidità.



Il sesto e ultimo movimento chiude con una nenia orientale che vuol forse essere la parodia di un surreale festeggiamento per la nascita di “uomo nuovo”, un uomo che però non ha alcun futuro davanti a sé. E’ un umorismo crudo e amaro, ma alla stesso tempo lucido e consapevole.