Marcello Ambrosini

Post-Industriale: la scena italiana anni 80

Autore: Marcello Ambrosini
Titolo: Post-Industriale: la scena italiana anni 80
Editore: Goodfellas
Pagine: 288
Prezzo: Euro 22,00

Marcello Ambrosini, emiliano, classe 1972, insegnante di storia dell’arte, ha firmato il più completo manuale mai realizzato sulla scena post-industriale italiana degli anni 80, approfondendo la corrente più estrema del post-punk che, partendo dagli esperimenti sonori di Throbbing Gristle e Cabaret Voltaire, si concretizzò nella nostra penisola attraverso centinaia di progetti qui classificati in quattro sezioni.
Molti dei nomi emersi (uno su tutti: Teho Teardo) hanno beneficiato di carriere lunghe e dagli sviluppi talora sorprendenti; altri (la maggior parte, in realtà) hanno invece abbandonato presto la partita, consegnando comunque alla storia un lascito artistico di grande rilevanza.

Il manuale si sviluppa da un’interessantissima introduzione che racconta la nascita del rumorismo, a partire dai primi esperimenti avvenuti all’alba del Novecento per mano del futurista Luigi Russolo, passando per il theremin, le onde Martenot, i primi sintetizzatori, fino alla musica concreta, ai pianoforti preparati di John Cage e agli studi sul silenzio.
Poi nel 1977, mettendosi in scia all’estetica punk e alla lezione del do it yourself, l’industrial si impose come la sonorità più estrema di quel floridissimo periodo, con un approccio ben sintetizzato dalle parole di Genesis P-Orridge: “Non abbiamo inventato nulla. Abbiamo soltanto sistemato ciò che accade ogni momento. Proposi di fare muzak per le fabbriche, impiegando il rumore autentico dell’industria, ma rendendolo ritmico e per se stesso accettabile”.

Fu una scena nella quale l’artigianalità del prodotto fatto in casa (molte delle copertine- collage recavano i titoli trascritti a mano) e la carenza di tecnica musicale non apparvero mai come disvalori, bensì come pregi distintivi. Il culto (condiviso con il punk) per il “non-musicista creativo” (anche se molti esponenti erano musicalmente preparatissimi) rappresentò l’estremo sberleffo alla “professionalità” del mainstream, all’omologazione dell’industria del rock.
Miscelando suoni urticanti, urla in feedback, eretica improvvisazione post-lisergica, utilizzando synth, drum machine, computer e strumenti autocostruiti, puntando sul ritorno alle origini rituali e magico-religiose del ritmo e sull’uso di suoni catturati dall’ambiente (sia naturale che urbano), i post-industriali diedero vita a una miscela sonora mai udita prima, che avrebbe reso possibile l’accettazione di massa di molte rumorose ramificazioni future del rock: dal noise dei Sonic Youth alle liturgie apocalittiche degli Swans fino all’electro-industrial dei Nine Inch Nails.

Vista la circolazione carbonara di molte produzioni dell’epoca, ricostruire una storia completa della scena post-industriale italiana è risultata opera assai ardua: l’autore per ricavare molte delle informazioni riportate è ricorso alla consultazione di fanzine dell’epoca e di articoli comparsi sulla stampa specializzata.
In Italia i gruppi più rappresentativi furono i F:A.R di Savona, i T.A.C. di Parma e i Tasaday di Monza. Tutti e tre partirono dal rumore, ma su di esso innestarono la tipica strumentazione new wave formata da chitarra, basso, batteria e synth, raggiungendo risultati inediti e personali. E ancora Mauthausen Orchestra, Amok, Lieutenant Murnau, Officine Schwartz, Ain Soph, Rosemary's Baby, Sigillum S, persino alcune emissioni dei Pankow, nomi che diranno poco alla massa, ma tantissimo agli appassionati del genere. 

Dalla scena post-industriale scaturirono due sottogeneri, sorti entrambi nella prima metà degli anni 80: il “power electronics”, caratterizzato da rumore, violenza e cacofonia, e il “post-industrial esoterico”, incentrato su spiritualità, magia e arcaismi.
Il volume approfondisce tutte le ramificazioni avvenute nella nostra penisola, dedicando un articolo monografico a ciascuna band o musicista (in tutto sono 53) che sia riuscito a produrre almeno un album o un singolo a nome proprio, a partire dall’approfondimento dedicato a Maurizio Bianchi, considerato il padre dell’industrial italiano. Restano esclusi dalla trattazione tutti coloro che, pur avendo registrato un demo, non riuscirono a distribuirlo, e tutti i progetti comparsi esclusivamente all’interno di antologie.

Il lavoro di Ambrosini si lascia leggere tutto d’un fiato, ma non è certo un prodotto usa-e-getta: è destinato a rimanere un fondamentale strumento di consultazione, anche grazie alla parte finale, dedicata alla ricostruzione delle discografie essenziali di tutti i musicisti trattati.
La prefazione è firmata Luther Blissett e a corredo del libro c’è anche un’indispensabile compilation inedita su cd, curata per l’occasione: 45 minuti di musica post-industriale italiana con alcuni fra i nomi di punta del movimento.

Nella foto: F:A.R., periodo "Passi uguali", 1990

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