Roger Waters
The Wall
Mediolanum Forum di Assago (Mi)
4 luglio 2011

Lo spunto nasce nell'ultima data del loro tour di due anni prima, quando a Montreal un gruppo di fan davanti schiamazza fino a spingere Waters a sputargli addosso (l'anno era sì quello del punk, ma dubito che quella fosse la intenzione estetica...). Roger nel backstage pensa che gli stadi non gli piacessero più, anzi: avrebbe volentieri costruito un bel muro fra la band e "la gente".
Ma l'opera (sontuosa nelle dimensioni, allora su due long-playing) diventa poi una vera seduta auto-psicanalitica, prendendo molti spunti dalla sua vita personale di "figlio della guerra" (come tutta la generazione rock degli anni 70, del resto): la morte del padre - che non conobbe mai - pilota della Royal Air Force nella battaglia di Anzio del '44; l'educazione repressiva e brutale nei College inglesi e una madre esageratamente soffocante.
Limato e riscritto il concept con il produttore Bob Ezrin, "The Wall" fu presentato ai compagni come si fa con un testo teatrale - letto ad alta voce - e fu evidente a tutti che le 40 pagine della trama erano materia straordinaria. E così fu il prodotto finito, uno dei grandi dischi del tempo.
Ne fu fatta una versione live di grande fantasia teatrale, poi un film misto animazione/realtà (il protagonista, Pink, era un giovane Bob Geldof), e nel tempo - e nella mente dei fans - è sempre rimasto IL disco di Waters, padrone assoluto e risoluto. Era la sua redenzione esistenziale, la sua catarsi, la sua elaborazione di un'infanzia che aveva rischiato davvero di isolarlo per sempre dal mondo. Perché Il Muro divenne la metafora della separazione, della chiusura, dell'isolamento di ognuno di noi - potenzialmente - di fronte alle emozioni troppo forti da accettare, e delle repressioni troppo forti da sopportare.

Certe cose, lo sappiamo bene, non muoiono mai. E non mi riferisco tanto all'amore per una band molto amata in Italia che ormai non esiste più, quanto ai sentimenti e alle vibrazioni profonde che "The Wall" porta in scena: la difficoltà di crescere, la viscosità dei legami familiari, l'alienazione, l'odio per i totalitarismi e il loro prodotto primo, la guerra. Il personale diventa universale, senza tempo.

L'inizio è lo stesso, i bombardamenti e un aereo vero che attraversa il Forum e plana dietro al Muro che a poco a poco si comporrà, quasi senza farsene accorgere. Mitragliatrici tutt'intorno e immagini di battaglia nei cieli. Il padre Eric Waters, che nell'intervallo verrà proiettato sul muro insieme agli infiniti caduti di guerra, ci riporta alle battaglie sui cieli di Inghilterra. La storia può cominciare, e appena il ragazzo è in età, il terribile Teacher compare, gigantesco e incombente, su un'intera scolaresca che arriva sul palco in uniforme, solo per ribellarsi: una maglietta, un messaggio: "Fear builds walls". La creatura, frutto della visionaria fantasia di Gerald Scarfe e realizzata per i cartoon del film dell'82, animata e inquietante, ondeggia e si inarca, aggredisce e si ritrae, mentre quel coro, il pezzo forte, sale altissimo... Teacher! Leave them kids alone!

Is there anybody out there? Si chiede all'inizio del secondo tempo, in altre parole il disco 2. E il Muro comincia lentamente a aprire una finestra, a offrire qualche crepa. Riportate a casa i ragazzi! Alla fine, dopo la lunga e drammatica parodia del totalitarismo con gli eserciti di martelli, Waters in nero cappotto di pelle e berretto simil-nazi, mentre i cartoon di Scarfe rappresentano le mostruosità dell'animo umano, i grandi mattoni crollano, crollano le mura come quelle di Jericho, forse anch'esse esplose per una musica capace di abbattere muri invisibili. Il cerchio è completo, chiamiamolo lieto fine, metafora compiuta. La marea del destino si è invertita, e la band - solo chitarre acustiche e voci in mezzo alle "rovine" del crollo - sfilano via sorridenti, uno ad uno, presentati da Roger che rimane, ultimo, a godersi l'applauso liberatorio.
"The Wall" rimane grande musica, ci riporta a un'epoca in cui il grande rock aveva ambizione creativa, spessore, più livelli di interpretazione, intimista e di massa. Intorno a noi, invece, cos'è cambiato? La consapevolezza, l'esperienza del terrore, forse. L'alienazione, la spersonalizzazione, quelle sembrano addirittura cresciute. "The Wall" è show business con un messaggio, un intento, una profondità. Bello spettacolo che sa anche farti riflettere, e ancora estremamente attuale. Purtroppo.
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John Mayall
Auditorium Parco della Musica
Roma
27 giugno 2011

Tutto meno che una serata revival, con nella mente tutti i laureati, da Eric "Slowhand" in poi. Fedele alla regola "sul palco non si invecchia mai", gira con un power trio di buoni strumentisti, morbidi o belli duri a seconda delle circostanze (del resto, tutto si può dire meno che non se li sappia scegliere bene), e a giudicare dai brani nuovi anche la sua vena compositiva non si è inaridita.
P

God bless you, vecchio capitano di ventura della nota blu, e già che ci siamo, O Lord, continua a benedire anche il blues. A 100 anni dagli inizi, ne abbiamo ancora tanto ma tanto bisogno.
E, a proposito, ciao Ernesto, c'eri anche tu nella calda aria di un'estate romana.
Foto di Carlo Massarini