28/07/2012

John Foxx And The Maths

Mole Vanvitelliana, Ancona


Ancona è una città particolare e, per certi versi, strana. Porto marittimo fra i più importanti d'Italia, si divide equamente tra un centro storico piuttosto defilato, quasi "periferico", e il suo vero cuore pulsante, composto da miriadi di moli dai quali salpano quotidianamente dozzine di navi di tutti i tipi, dai traghetti alle petroliere, dalle mercantili alle navi da crociera. E c'è, immersa fra i canali e le gru dei cantieri navali, una costruzione antica con alle spalle una storia secolare, che è forse l'edificio più famoso della città: la mole Vanvitelliana.
Location, questa, senz'alcun dubbio atipica, scelta dai soci del circolo Arci cittadino per ospitare Acusmatiq 7.0, festival giunto ormai alla settima edizione e capace di coinvolgere musicisti di livello internazionale. Se l'anno scorso era toccato agli Oval e ad Alva Noto, e in precedenza a Robin Guthrie e Murcof, gli organizzatori hanno puntato quest'anno su due fra le figure più rappresentative di due epopee storiche come glitch e new wave, non certo bisognosi di presentazioni: Christian Fennesz e John Foxx.
E proprio il longevo genio di Chorley è protagonista di una performance strepitosa, di fronte a un'audience orvero modesta, che a stento raggiungeva le cinquecento persone.

Di Foxx, si diceva. Sessant'anni suonati e nessuna intenzione di farsi da parte, di abbandonare o concludere una carriera che è stata e continua a essere stratosferica, di rinunciare alla ricerca e alla sperimentazione musicale. Nossignori, Foxx è e vuole continuare a essere un grande musicista, attraverso dischi sfornati con una prolificità invidiabile, progetti, concerti, autografi e chiacchiere con i fan: nemmeno a queste ultime, per molti bestie nere, il nostro pare volersi sottrarre, contraddistinto da quel fare da gentleman inglese mai però narcisista o altezzoso. E non gli manca nemmeno la grinta, con la quale si rifiuta categoricamente di parlare di Ultravox, felice piuttosto di raccontare aneddoti su come ha conosciuto Benge, l'altrà metà dei "Maths" - con i quali l'anno scorso ha prodotto due dei capitoli più interessanti e riusciti della sua carriera - che lo accompagnano sul palco marchigiano.

Dopo un lungo e meticolosissimo soundcheck - a ingresso libero per i fan e dopo il quale Foxx si concede per la prima volta ad autografi e foto - i musicisti si ritirano verso le 18: l'inizio del concerto è previsto per le 21, ma dopo l'ormai usuale mezz'ora di esubero a presentarsi sul palco, assissito da soli due laptop, è un poco noto artista italiano. Si tratta di Fabio Perletta aka Øe, sound designer di glitch essenziale mista a placidi flussi ambientali e a un cuore pulsante dronico: una formula non troppo "nuova", che mischia Alva Noto, Vladislav Delay e Pan American. La sua performance, musicalmente interessante, è purtroppo rovinata da un fondale visivo piatto e vuoto e da due guasti tecnici: il primo causa una sosta di dieci minuti e una certa ilarità nel pubblico, mentre al secondo l'artista si arrende, abbandonando mestamente il palco fra le battute degli spettatori (qualcuno ipotizza un omaggio a 4'33'' di John Cage).

Deve trascorrere ancora una mezz'ora abbondante, allietata da alcuni estratti da "Switched-On Bach" di Wendy Carlos, prima che la band si presenti sul palco: a entrare per primi sono Benge (percussioni elettroniche e laptop), Hannah Peel (tastiere e violino) e Serafina Steer (basso e sintetizzatori), mentre Foxx si fa attendere qualche minuto in più. Acclamatissimo, abbandona il palco pochi minuti dopo il suo ingresso per rientrare poi completamente vestito di nero. Distrazione o humour inglese? Poco importa, quando la furia di "Shatterproof" inaugura le danze all'insegna di cinque minuti di convulsioni techno-rock. Il nostro è scatenato, il pubblico lo segue, salutando con fervore i battiti poderosi che s'inculcano nelle orecchie, grazie anche a un'acustica di altissima qualità. Neanche il tempo di riprendersi e ci si ritrova davanti al primo classico: "He's A Liquid" è riprodotta esattamente come ce la ricordavamo, languida e inquieta, fra colate marziali e piaghe analogiche quasi più oblique dell'originale ed enfatizzate dall'ingresso del violino. La voce si dimostra già in forma smagliante, e ancor meglio fa nella successiva "Evergreen" - mutata e sdoppiata tramite l'usuale vocoder - che incede incollandosi appiccicosa nel suo elettro-pop, a completare un terzetto d'apertura da urlo.

Quel che la dimensione live dona alla musica è un approccio più diretto, schietto, "umano": via la formalità in favore della conquista emotiva, del coinvolgimento puro. La formula paga, fungendo da macchina del tempo e donando nuova linfa a composizioni che suonano attualissime a quasi trent'anni dal loro concepimento. Nel duo "No-One Driving"-"The Running Man" l'epigono si fa esplosivo e prorompente, con una spettacolare prestazione del metronomo Benge alle percussioni in un incrocio fra presente e passato: la prima saltella quasi trattenuta, anch'essa quantomai "moderna", mentre la seconda lascia fuoriuscire in toto la forza d'urto, scagliandosi a razzo fra scariche e futurismo. E Foxx pare quasi diviso: da un lato cerca di non scomporsi, fedele alla linea del modernariato uomo-macchina, dall'altro si lancia nell'interpretazione, come se volesse far trasparire le sue sensazioni attraverso l'esecuzione, piuttosto che agitandosi sul palco.

Il primo momento "riflessivo" arriva con l'astrazione di "The Shadow Of His Former-Self", unico estratto dal meraviglioso "The Shape Of Things" che avvinghia nella sua morsa mentalista tra dissonanze e lamenti, convogliati in un pathos incredibile prima che arrivi, salutata con fervore dal pubblico, "Hiroshima Mon Amour": manca il sax, ma resta intatto il tratto somatico romantico-decadente, grazie alla stellare prestazione vocale di Foxx e alla perfezione sonora della band. Serenità e commozione non risentono dei trent'anni di età di un brano senza tempo, al cui fascino è impossibile resistere persino per l'ex-leader, generalmente riluttante a ricordare i trascorsi con la band ma incapace di rinunciare a un pezzo caratterizzato da una forza espressiva fuori dal comune: sembra anch'egli volersi fermare, sciogliere quella barriera che lo divide dal passato. Il pubblico si trova di fronte a uno dei capolavori dell'intera new wave e pare esserne consapevole, tanto da chiudersi in religioso silenzio durante tutta l'esecuzione. È una parade di ricordi e attualità, come testimoniato dai principali protagonisti della scaletta: il capolavoro "Metamatic", primo grande album del Foxx solista, e il recente "Interplay", capostipite della saga dei Maths.

Dopo la "sosta", ecco arrivare un trittico austero da brividi: "A New Kind Of Man"-"Plaza"-"Watching A Building On Fire". La successione sembra quasi cercata: le piaghe energiche dell'uomo nuovo, tecnologico, che si ritrova nell'ipnosi surreale di una piazza sbiadita e inquietante, per poi commuoversi di fronte alla decadenza della stessa. Di nuovo, i suoni dal vivo prendono corpo, s'infiammano roventi nella prima, raggelanti nella seconda e sopraffatti emotivamente nella terza. E a concludere, se non bastasse, arriva pure "Dislocation": vocalmente sottotono, è forse il pezzo eseguito peggio e l'unico criticabile e non soddisfacente. Macchinale ma toccante è invece la title track di "Interplay", canto disperato di un alchimista: la voce, contornata solo da sussurri, può esprimersi libera in tutta la sua purezza, e l'effetto è magniloquente.
Il ritmo torna d'attualità in "Catwalk", sotterrato dal vocoder, prima d'inabissarsi romantico nella splendida "Summerland" e nella sorpresa della serata: "Just For A Moment", la dolce, silenziosa conclusione del capolavoro "Systems Of Romance", ovvero di nuovo Foxx e la sua voce soli fra i tintinnii delle drums di Benge. La chiusura non è certo meno inaspettata: algida, roboante ed esplosiva, ecco rispolverata anche "Burning Car", outtake di "Metamatic" contenuta nell'Ep omonimo, dopo la quale la band abbandona il palco, prima di rientrare per il "canonico" bis.

Questo si apre con l'omaggio kraftwerkiano di "The Good Shadow" per poi sfumare nell'epico, attesissimo congedo del capolavoro "Underpass": acclamatissimo dal pubblico, Foxx si lascia andare alle ultime energie, riproducendo i movimenti e le pose mostrateci nel videoclip, con autostrade e luci al neon in bianco e nero ad alternarsi sullo sfondo. Nel post-moderno di trent'anni orsono, fedelmente riprodotto nella società della tecnologia e dell'informatica, è contenuta la crème della sua musica, inculcata ed indelebile nell'energia sprigionata dai synth, sparati "a mille" nell'unisono della formidabile melodia del ritornello. E sì chiude così.

Si chiude con la musica, ma si continua sotto il palco: il tempo di cambiarsi ed ecco il nostro ripresentarsi per autografi e foto, pronto ad intrattenersi per circa un'ora buona a chiacchierare con quel risicato ma fedele pubblico che anche in Italia continua a seguirlo. Quello stesso che ha avuto la fortuna di assistere a un concerto strepitoso, il cui ricordo resterà indelebile nella memoria di ogni spettatore.

Foto su cortesia di jumbled-factory.com

Setlist

  1. Shatterproof
  2. He's A Liquid
  3. Evergreen
  4. No-One Driving
  5. The Running Man
  6. The Shadow Of His Former-Self
  7. Hiroshima Mon Amour
  8. A New Kind Of Man
  9. Plaza
  10. Watching A Building On Fire
  11. Dislocation
  12. Interplay
  13. Catwalk
  14. Summerland
  15. Just For A Moment
  16. Burning Car
  17. The Good Shadow (encore)
  18. Underpass (encore)

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