E’ un brutto periodo per i surfisti biondi, ci dicono i livornesi Jackie-O’s Farm nel titolo del loro album d’esordio. Ma non lo è per una certa idea di guitar pop gentile e melodicamente carezzevole, almeno prestando orecchio alla collezione di buonissime canzoni squadernate da questa band. In bilico tra la spensieratezza lieve degli Shins, il classicismo neosixties dei primissimi Thrills o dei Magic Numers, e un certo amore per melodie solari e ben tornite alla Teenage Fun Club o Travis, i Jackie-O’s Farm inanellano come perline lungo uno spago di nylon dodici motivi freschi e piacevolmente canticchiabili, pieni di brio fischiettante e agilissimi intarsi di chitarra, in una sorta di ideale e felice congiunzione astrale di (brit)indie-pop in quintessenza e power ballad assolate, in un rimpallo continuo tra San Francisco e Brighton, tradizione e contemporaneità.
Pezzi come “Mrs. Kali”, “Oh My Bed” o “Do I Need You Out?” riaccompagnano calorose e avvolgenti la mente verso la strada di casa in un rientro serale potenzialmente senza fine, soffiando via crucci e perplessità con un alito tiepido di melodie piane e rinfrescanti.
Il tono spesso è prevalentemente intimista-confidenziale (buona anche “Ready To Revival”), ma non mancano neppure cambi di passo più netti e stilisticamente arruffati, come lo stomp appuntito di “Share It” o “My Gril Don’t Call”.
In un modo o nell’altro in questa manciata di canzoni si ritrova quel pop a cui sempre il pensiero fa ritorno dopo essersi smarrito in peregrinazioni disordinate tra avanguardia e irrefrenabili ansie sperimentali alla ricerca (mai stanca) del nuovo.
Il disco dei Jackie-O’s Farm vale allora come omaggio affettuoso e del tutto sincero a un sogno musicale che non sa (e non deve) finire, ma anche e soprattutto come prosecuzione appassionata di quello stesso sogno dal quale forse non vogliamo essere più svegliati.
13/10/2009