Winter Dies In June

Penelope, Sebastian

2018 (Autoproduzione)
guitar-pop

Ci sono delle voci - spesso non tra le più potenti e addestrate, ma forti di una limpidezza e cristallinità fuori dalla norma - che riescono a raccontare meglio di qualunque altra i sentimenti più dolci e le vicende più tenere che ci possa capitare di vivere, o anche soltanto di immaginare. Mi vengono in mente quella di Ben Gibbard dei Death Cab For Cutie e quella di Ben Bridwell, per esempio. Ne abbiamo però una anche in Italia, anche se non ce ne siamo accorti in tantissimi. È quella del parmigiano Alain Marenghi. I Winter Dies In June, qui al secondo disco, non sono la sua prima band: prima ci sono stati i Vancouver e gli Isabel At Sunset. A ben vedere, anzi, i WDIJ altro non sono che una specie di miscuglio delle ceneri di questi due progetti precedenti; dei primi ereditano infatti le chitarre, dei secondi la possente sezione ritmica.

“Penelope, Sebastian”, due nomi di ragazzi, due facce, due tinte di rosa che fondono i loro profili morbidi nella splendida copertina. Sono loro l’amore e le storie al centro delle schitarrate di questo disco, e come tutti gli amori e le storie più avvincenti non hanno un solo umore, ma si muovono tra mille sbalzi. E così l’apripista “Aereoplanes” passa da amenità chitarristiche affini agli ultimi Slowdive (quelli contenuti e acquerellosi di “Slomo” e “Sugar For The Pill”) a vivaci turbinii di feedback vicini ai Teenage Fanclub. Anche “Boy” è bella briosa e la sua parte centrale guizzante e distorta graffia che è un piacere, così come il finale di “Penelope”.

Rispetto al predecessore “The Soft Century”, qui è stata prestata molta attenzione in più alle tastiere, curate dallo stesso Marenghi, che rimangono certamente il mero complemento di una formula guitar-guided, ma arricchendo i brani di sfumature e suggestioni altrimenti irrealizzabili. Si prenda l’introduzione sbrilluccicante di “Sand”, che un po’ ricorda i primissimi M83, o il synth anni 80 che imbeve di malinconia “Nowhere”. Ma soprattutto i tunnel tridimensionali di Korg che traforano le bucoliche trame acustiche della conclusiva “Different” e la pioggerella di pianofortini che ne impolvera il finale. Davvero uno dei paesaggi musicali più commoventi visitati quest’anno.

Un po’ per la scelta della band di proporre testi esclusivamente in inglese, un po’ per l’assenza di precedenti nazionali su queste coordinate, la musica dei Winter Dies In June stenta a emergere dalla nicchia per appassionati di noise-pop e shoegaze che si è ritagliata. Sembra che però qualcosa si stia muovendo ultimamente, che lo stivale stia finalmente prestando attenzione alle emozioni che questi incroci pericolosi tra melodia e rumore possono generare – il seguito che si sono guadagnati i siciliani Clustersun, ad esempio, o l’interesse suscitato dal ritorno dei Klimt 1918. E così magari è la volta buona che un autore come Alain Marenghi e i suoi compagni di viaggio trovino il successo che meritano.  

24/04/2018

Tracklist

1. Aeroplanes
2. Sands
3. Sebastian
4. Boy
5. Nowhere
6. Space
7. Penelope
8. Different


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