Quello tra rock e fashion è da sempre un matrimonio assai difficile ma non meno indissolubile. Se il primo ha l'occasionale tendenza ad atteggiarsi a vessillo di una presunta purezza di mezzi e di intenti, la seconda è lì a ricordare cinicamente come i due non siano altro che manifestazioni, talvolta parallele, altre incrociate, che traggono linfa da una terreno di termini comuni e condivisi.
Se Christa Päffgen fu il primo(rdiale) accenno a tale scandalo e Grace Jones abbatté con disinvolura tipicamente "pop" ogni residuo confine linguistico-simbolico, Leslie Winer rappresentò l'avamposto di una nuova generazione di top e indossatrici infiltrate su vari livelli nei campi più cool del suono del tempo, in particolare l'orda di dj, producer e sound-sculptor che da meri inservienti tecnici assurgevano a stilisti sonori di prima fascia.
Winer fu anche l'unica però, tra le sue colleghe, a mantenere le promesse di un flirt di tale portata, un connubio che per il resto si sarebbe artisticamente afflosciato nel decennio successivo con le imprese mediocri - ma ben più strombazzate - della trinità top dei Novanta Jovovich-Moss-Campbell.
Lo scarto tra Winer e le sue colleghe è un fatto però prima di tutto di biografia e di visione artistica, decisamente più consapevole e focalizzata rispetto agli sporadici divertissement delle altre, che prendeva il via agli albori degli Ottanta da qualche parte nella solita New York.
Grandmother of every trip
Leslie Winer è una ragazza slanciata e spigolosa, figlia di una donna appena sedici anni più vecchia, dalle convinte aspirazioni letterarie (si nutre in particolare di poeti e scrittori beat) e una vaga passione per il jazz e il piano, quando decide di trasferirsi nella Grande Mela dal vicino ma meno eccitante Massachusetts per studiare Visual Art.
Gli orizzonti della nostra si spalancano da subito in maniera quasi spaventosa, entrando in contatto con un'eterogenea gamma di personalità dal mondo dell'arte, della moda e della musica. Nel 1981 comincia a lavorare come indossatrice scalando in breve l'oligarchia fashionista del tempo e arrivando a collaborare con Dior e Valentino, guadagnandosi con tempistiche ugualmente accelerate la fama di "modella difficile". E' una difficoltà che però, più che respingere, sembra conturbare e catturare a mo' di magnete.
Jean-Paul Gaultier è uno dei suoi aperti ammiratori, come la ricorderà in retrospettiva "Leslie era LA modella. Bellissima, la prima indossatrice androgina. Favolosa, si atteggiava e muoveva come un ragazzo. Le diedi un ombrello e senza che nemmeno glielo chiesi lo portò in passerella come James Dean in 'Est Of Eden'. La sua attitudine era semplicemente fantastica".
Winer fece il giro delle riviste di stile più blasonate, comparendo su The Face e svariati numeri di Vogue (inclusa un'edizione italiana). Quello delle passerelle, peraltro al tempo un mondo lontano dalla macchina da soldi e divismo che sarebbe diventato di lì a poco, è però per Winer poco più di un semplice lavoro per tirare avanti la baracca.
A metà Ottanta è sempre più coinvolta nei movimenti artistici newyorkesi in cui ha modo di formare il suo stile di autrice letteraria, nonché di approfondire le conoscenze in ambito musicale.
Cruciali sono in questo senso la relazione con il giovane ma stimatissimo artista, poeta e attivista Jean-Michel Basquiat (che sarebbe scomparso poco dopo, ad appena ventisette anni) e soprattutto l'incontro con il guru dei guru, William S. Burroughs, nel cui bunker passerà la quasi totalità del suo tempo.
Winer però lascerà a sorpresa il centrifugato di avanguardia, alcol ed eroina del suo universo a New York sul finire del decennio, quando approderà in Inghilterra con una delle sue ultime campagne da indossatrice, lavoro che avrebbe abbandonato anche questo di lì a poco.
Sul finire del decennio, quello tra Londra, Bristol e Manchester è un triangolo musicalmente incendiario e le antenne della Winer sono al posto giusto al momento giusto. L'ormai ex-top si nutre di dancehall, dub, Scientist ed electro, ma sono anche e soprattutto gli incontri del periodo che la addentrano più attivamente nella scena musicale britannica.
Nel 1986 lavora con l'ex-Adam And The Ants, Kevin Mooney, comparendo anche su un singolo dei Max, mentre l'anno dopo, con lo stesso Mooney, collaborerà per "The Lion And The Cobra", l'album d'esordio di Sinéad O'Connor (la si può sentire su "Just Call Me Joe").
Un altro incontro la introdurrà alle tecniche di produzione al tempo più "avanti", ovvero quello col signor Trevor "Art-Of-Noise" Horn. "Fino a quel punto avevo un'idea estremamente vaga del missaggio, della tecnica. Quando vidi Trevor all'opera, realizzai quanto lavorare con le macchine potesse essere un'esperienza visuale, oltre che uditiva, qualcosa che potevo e volevo fare anche io".
Nel biennio successivo lavora attivamente con il Renegade Soundwave (che incideva a quel tempo il seminale "Soundclash") e riceve una proposta di collaborazione congiunta con Karl Bonnie del RS da parte di Jon Baker (tecnico dell'entourage Spandau Ballet), che però rimpiangerà la scelta, accantonando i nastri di Winer e Bonnie come "terribili".
E' nell'officina Renegade Soundwave, tuttavia, negli studios della Mute e delle sub-label Transglobal e Rhythm King, che Winer concentra la sua attività, iniziando a lavorare a un suo primo vero album.
L'atmosfera è informale e decisamente "aperta", le session sono a disposizione di chiunque vi passi: John Reynolds, John Kough, Matthew Faddy e l'inconfondibile mano di sir Jah Wobble.
Così, quindi, prendeva forma quello che sarebbe diventato Witch.
Buona parte del lavoro, scritto quasi interamente dalla nostra, viene svolto attorno al sampler, macchina di cui Winer intuisce subito la potenzialità di strumento a sé, con pile di vinili portati in studio e scandagliati fino a trovare quello che "suona figo". I brani si costruivano quindi sull'uso di sample irriconoscibili di varia provenienza, dal dub, al breakbeat e Neil Young, arrangiati con precisione e arricchiti dall'uso dei vocals, prevalentemente in parlato, della Winer.
Da consapevole virtuosa del mezzo linguistico, riesce a far assumere alle liriche un ruolo di primissimo piano in questo discorso. Se buona parte dei contributi vocali prende di mira più o meno direttamente quella che definirà "la cultura del dominio-guerra-terrore-morte-stupro", altrove emerge un più spiccato e militante femminismo, come in "N1 Ear" ("If I get raped it must have been my fault/ And if I get bashed I must have provoked it/ And if I raise my voice I'm a nagging bitch/ And if I like fucking, I'm a whore/ And I don't wanna I never wanna (you never wanna, you never wanna)/ And if I love a woman/ It's because I can't get a real man or it's for his enjoyment/ And if I ask my doctor too many questions/ I'm neurotic and I need pills/ But I still can't get safe birth control/ While some fucker's roaming the moon"), mentre in "Dream One" riemerge una doverosa rielaborazione onirica squisitamente burroughsiana ("My God, the clouds, the clouds/ They're like dirty cotton/ Armies of them/ Carbon monoxide and bees of the invisible").
Musicalmente "Flove" e "5" sono con ogni probabilità i momenti più memorabili. La prima un beat profondissimo e notturno dal basso roboante con inserti vocali poco più che sussurrati, di una algidità eroticissima (una formula da cui Tricky prenderà più di qualche idea), mentre "5" è un dispiegarsi di loop, sample - tra cui una linea dei Buffalo Springfield - e tanti bassi (ancora Jah Wobble), con il recitato della Winer che interviene magistralmente nei momenti-chiave di nove minuti di assoluta sensualità tossica. Ovvero, come ti anticipo il suono di buona parte dei Novanta in due efficacissime mosse.
I pezzi restanti non sono da meno, con l'elegante ingresso di "He Was" - reminescente di certi numeri "rag" di Grace Jones - l'allupante giro di basso di "The Boy Who Used To Wistle", l'eccellente lavoro elettrico di "Once Upon A Time" (con un sample di Captain Beefheart), la concessione folk-pop a sorpresa di "John Says", il dub "wobbliano" di "Skin" a suggellare un disco unico in ogni suo aspetto, che si disfa senza troppe cerimonie di cliché e cotonature superflue per puntare a orizzonti spalancati da qualche parte imprecisata di un futuro eccitante ma non meno oscuro e destabilizzante, di cui il cosiddetto trip-hop sarebbe stato solo il frutto più maturo e chiacchierato.
Nonostante tutte le premesse (o forse proprio a causa delle stesse), Witch sarà uno dei flop più clamorosamente ignorati del periodo. Tra la data di incisione (metà 1990) e la data di pubblicazione (1993) passano tre anni di tarantelle discografiche, prima all'interno della Mute, che lo pubblica per la Transglobal sotto lo pseudonimo "©", poi di altre micro-label interessate, nessuna delle quali però sembrava disposta a investire nel progetto, con il risultato che l'album viene rilasciato nel semi-silenzio generale con solo un gruppetto di addetti ai lavori a sostenerlo e venerarlo (lo caldeggiò, ad esempio, un tale John Peel).
Delusa, Leslie torna brevemente negli States dove comincia a lavorare a del nuovo materiale, mentre scrive un pezzo per Grace Jones. L'approccio delle label americane, però, la amareggia nuovamente, con un'accozzaglia di commenti e battute che irritano una personalità percettiva e iper-consapevole ("Sì, mi ricordi Laurie Anderson", "Ti piacciono i bassi come a un negrone", ricorderà).
Quindi la firma con la Geffen, alla quale propone l'album 3 Bags Full, un altro disco però rimasto a giacere per sempre nel limbo degli "indecisi" dell'etichetta. Contemporaneamente Winer collabora prima con Bomb The Bass e poi con Jon Hassell, per alcuni vocals sul progetto "Dressing For Pleasure".
Tra il 1994 e il 1997 lavora ad un terzo disco, Spider. L'album si compone questa volta interamente di inediti, riprendendo e ampliando gli spunti di Witch e puntando maggiormente su un senso di "ambience" più allucinato e apertamente sensuale. Fachtna O'Ceallaigh, Bill Coleman collaborano al disco, Jah Wobble ritorna in un ruolo più attivo, al basso e finanche alla voce, mentre la produzione è interamente opera della Winer con il solito Mooney. Ancora una volta l'album è accolto però dall'indifferenza delle etichette e viene pubblicato in tiratura limitatissima nel 1999 solo grazie all'interesse dell'artista newyorkese Helmut Lang.
Nello stesso anno Witch viene ri-pubblicato da Virgin France, episodio che però non fa che completare l'incazzatura della Winer, che, oltre a non ricevere un singolo centesimo dall'etichetta grazie a un escamotage contrattuale, si ritrova il disco uscito con una cover non autorizzata (l'artista che fa il medio in posa no-wave e il suo cognome in caratteri cubitali).
Umiliata e offesa, Leslie Winer si ritira nella privacy di un appartamento nei pressi di Parigi, dove darà la luce a cinque figli e vivrà alla larga dal musicbiz per più di un decennio.
I'll be mother
Il tempo quindi non poteva far altro che rendere giustizia all'arte visionaria dell'autrice ed-ex indossatrice sui generis. All'alba del millennio il New Musical Express si accorge di Witch e incensa la Winer come la "nonna del trip-hop". Leslie Winer intanto, dopo anni spesi prevalentemente sulla poesia, in particolare sull'eredità dello scrittore beat Herbert Huncke, di cui è co-esecutrice, torna a collaborare con musicisti di varia estrazione, da Mekon a Carsten Nicolai, riprendendo lentamente fiducia nel fare musica.
Nel 2012 esce quindi la raccolta &© che riprende il materiale di Witch con alcune tracce dalle sessioni di Spider e 3 Bags Full, mentre i Matmos la citano nella traccia d'apertura di "The Marriage Of True Minds".
Così, mentre il nome di Leslie Winer riaffiora velocemente grazie al tam-tam dell'internet (ne parlano Quietus e, più in là, Pitchfork), l'autrice comincia una lunga e proficua collaborazione con l'artista svedese CM von Hausswolff.
Dopo un breve coming back come indossatrice per la collezione primavera/estate 2014 per l'artista Vivienne Westwood, così nel 2015 Winer e von Hausswolff pubblicano il lavoro (1), album che riporta ufficialmente sul mercato il nome di Leslie Winer per la prima volta in vent'anni.
I due si incontrano nel 2011 a Lisbona per intercessione della Tapeworm, con l'intenzione di collaborare su un progetto comune. Così Winer invia a von Hausswolff alcune nuove incisioni per sola voce su cui il collega avrebbe steso il suo lavoro di accompagnamento elettroacustico.
(1) è dominato dalla presenza algida ma ficcante della Winer, che riemerge nella sua veste più appropriata, quella di consumata salmista spoken word che ha affinato e radicalizzato ulteriormente il suo stile in un recitato vibrante e severo, a volte appena sussurrato, spesso inquietante, e che torna a scandagliare negli irrisolti nodi dell'American way, della propaganda di stato e del post-umanesimo. "I'll Be Mother", preannunciata l'anno prima, è il centro dell'opera, tanto per le toccanti liriche quanto per il connubio perfetto con il teso fluire elettronico inscenato da von Hausswolff. "This Discreet Organ" è un altro orgoglioso numero burroughsiano, mentre con "Can I Take Your Order" e "Weatherman" il focus sembra traspostarsi sui droni, che procedono sempre più alienati e incostanti, mentre i vocals di Winer si astraggono in una bassa fedeltà sospesa nel vuoto e in un tono non troppo distante dai lavori più sperimentali di Lydia Lunch. "Talk To Some Of Them", in chiusura, riprende il tema di "I'll Be Mother", in chiave diversa, mentre il commento elettronico arriva dal cortometraggio "Electra" di von Hausswolff con Nordanstad.
Pur breve nella durata, in rapporto a portata e potenziale del progetto (limite che si spiega in parte nel fatto che il lavoro non fu pensato in origine per un disco fisico), (1) rimane nondimeno un documento pregiato per qualità e per la capacità di far fremere le coscienze come pochi altri artisti sanno fare.
Così, parafrasando un verso del disco quantomai profetico per il definitivo ritorno alla musica della nostra: "The show must go on apparently/ the show must go on, and on, and on".
Nel 2018, invece, la Winer compare alla voce nell'acclamato progetto avant-dub di Jay Glass Dubs, "YMFEES".
Witch (Rhythm King, 1990-1993) | |
3 Bags Full (Geffen / unreleased, 1994) | |
Spider (self, 1999) | |
& That Dead Horse (compilation, Tapeworm, 2010) | |
&© (compilation, self, 2012) | |
(1) (w/ CM von Hausswolff, Monotype, 2015) | |
When I Hit You - You'll Feel It (Light In The Attic, 2021) |
John Says | |
Movie Mother | |
Remote Viewing | |
Box | |
I'll Be Mother |
Sito ufficiale | |