Bassolino - Il sindaco del Newpolitan sound

intervista di Giulia Papello

Incontriamo Dario Bassolino, tra i più interessanti esponenti della scena jazz-funk nazionale. Una chiacchierata in cui l'artista napoletano ci spiega come la ricerca dei suoni si interseca con lo spazio e come ha saputo restituire alla musica il tempo che merita...

La musica ha sempre fatto parte della tua vita?
Tutto è iniziato perché in casa c'era un pianoforte, mio padre era molto appassionato di musica napoletana e fin da piccolo mi ha regalato spartiti di canzoni del genere. La mia è stata un'infanzia molto ricca di musica, di teatro e di arte in generale. Sicuramente crescere in un ambiente pieno di stimoli culturali, assieme alla scelta di fare studi classici al conservatorio, mi ha dato la formazione necessaria e la spinta per accedere a questo mondo.

Quale è stato il percorso che ti ha portato a produrre la musica che fai oggi?
È stato un percorso particolare, perché mentre studiavo musica classica, avevo una combriccola di amici che facevano hip-hop e rap e ho iniziato a produrre musica con loro. E in quanto appassionati di hip-hop, erano anche appassionati di vinili, di dischi ricercati, e se vuoi sconosciuti ai più, e da lì è nata la passione per i dischi. Contestualmente è iniziata la ricerca di vinili antichi, di nicchia, e tramite questo passaggio ho iniziato a suonare funk e hip-hop, sempre un po' più su una linea jazz. Ho poi formato uno dei miei primi gruppi che si chiamava Sbirro Funk, facevamo brani in chiave funk poliziesca con inserti di musica napoletana, probabilmente un antesignano di questo progetto, e poi pian piano nel tempo mi sono appassionato al genere. Sicuramente il fatto d'incontrare da ragazzo persone che erano entusiaste della ricerca di vinili mi ha consentito di percorrere due strade, la musica classica al conservatorio e l'hip-hop e il funk con gli amici, e queste strade finalmente si sono incrociate.

E invece il tuo album "Città futura", anch'esso con sonorità poliziesco-funk, da dove nasce?
Ho sempre avuto l'idea di produrlo ma lavorando con tanti altri musicisti e in altri progetti non ho mai fatto uscire niente di mio, finché a un certo punto è nata un'esigenza sia dal punto di vista artistico che culturale. È stato in un momento in cui ho sentito di aver trovato la giusta chiave di lettura e desideravo collegarla a un movimento artistico culturale molto vivo a Napoli, dove c'è una realtà musicale molto ricca e fiorente. Inoltre, avendo una formazione da compositore, mi sono sempre fatto influenzare dalla storia dei più noti, che producevano colonne sonore. Ecco, trovo che ora si siano un po' uniti questi due mondi, la colonna sonora e la disco jazz-funk che c'è a Napoli. Oltretutto la città è piena di gente che è curiosa di musica, e che quindi costituisce un pubblico attivo, il che è un fattore determinante nel processo di composizione e produzione. Il fatto di avere una realtà fervida, dove la gente che vuole ascoltare la musica è al contempo molto consapevole del genere stesso, è fondamentale.

Pensi che il luogo dove ti trovi in un momento specifico della tua vita influenzi la musica che fai?
Sì, sicuramente c'è una parte di "operazione nostalgia" che è insita nella città di Napoli. Personaggi, come Pino Daniele, Giuni Russo (anche se siciliana, ndr), Tullio De Piscopo, negli anni hanno smesso di essere dei comuni mortali e sono diventati leggenda. Anche la cultura degli anni 70 a Napoli, la parte cinematografica, artistica, di scrittura, è contenuta un po' nel disco. C'è la ricerca di un certo stile, che poi è un po' tramontato ed è diventato controcultura. Per me, è stata importante la ricerca dei cult un po' dimenticati, come Pino Mauro e Mario Merola, personaggi che nella cultura mainstream sono arrivati poco negli ultimi anni. Oltretutto io vivo nella zona del porto dove negli anni 70 sono stati girati diversi film sui contrabbandieri, ed è sempre molto divertente immaginarsi di musicare queste storie. Quindi sì, sicuramente la musica mi collega al posto, e Napoli mi influenza.

E da dove viene il titolo, "Città futura"?
"Città futura" è stato scelto principalmente perché io avevo bisogno di dare un valore culturale al titolo del disco. Viene da Gramsci, è una citazione di un libro, a sua volta ripreso e citato da Pasolini, del quale sono appassionato. Avevo il desiderio di rappresentare il concetto di popolo e ritengo che questo sia un disco molto popolare, con una sua raffinatezza, certo, ma anche molta pancia. Non a caso, la copertina è stata fatta a Bagnoli, dove c'era Italsider, il primo stabilimento industriale costruito a Napoli che per l'appunto, si chiamava Bagnoli Futura. Mi piaceva l'idea di fare un collegamento tra Città futura, Bagnoli futura, l'operaismo e il concetto del popolo che deve andare in fabbrica, proprio degli anni 70 e delle lotte dell'epoca. Oltretutto c'è tantissima cinematografia sul tema e mi serviva questo titolo per inquadrare l'aspetto più politico, inteso da un punto di vista estetico, ma non politicizzato, perché non sono canzoni che inneggiano alla politica. Il senso era quello di ritrovare un popolo, inquadrarlo e produrre una musica che potesse essere anche per il popolo.

Quindi anche nella composizione hai tenuto fede a questo concetto?
Sì, era importante per me scrivere una musica che non avesse vincoli legati ai concetti capitalistici della produzione musicale, che possono essere la durata dei brani, o la struttura, o il ritornello. Non ci sono dei ritornelli nelle canzoni, ma ci sono delle macchie che si muovono con, e all'interno, di momenti liberi. Il senso era quello di dare alla musica il tempo che merita.

La composizione quindi nasce intorno a un concetto, un ideale?
Prima di fare un brano o un disco cerco sempre d'inquadrarlo in un ambiente sonoro, mi piace immaginare una storia. Il mio lavoro non è mai soltanto fare musica di per sé, ma è sempre volto a raccontare o a divulgare un concetto. In parte volevo dare una nuova visione di questa Napoli che è stata molto rappresentata, dove secondo me però mancava qualcosa, e quindi ho cercato di raccontare delle storie che non erano state ancora descritte.

La musica quindi deve avere un significato?
Sì, non mi piace fare musica per il consumo fine a se stesso. Lo accetto, e comprendo chi lo fa, però insieme al prodotto mi piace anche dare un significato, trasmettere un concetto, piuttosto che produrre solo musica che poi non lascia niente a chi la ascolta.

Mi hai detto che collabori con altri artisti da sempre, che ruolo hanno le persone intorno a te rispetto alla musica che fai?
Sicuramente mi influenzano le persone che mi stanno vicino, tra questi Paolo Petrella, con il quale siamo molto affini dal punto di vista musicale e tante cose nascono con lui, ma anche Linda Feki che canta "E' parole". Quando ho concepito il brano, ho pensato che l'avrebbe cantato lei, ho immaginato un tipo di sound vocale, di range, di possibilità melodica. Allo stesso modo, penso ad Andrea De Fazio, alla batteria; quando ho scritto le batterie pensavo esattamente a lui. I musicisti che mi accompagnano sono quelli che mi influenzano anche sul linguaggio sonoro e nei live viene restituito un po' di tutto questo.

Passiamo ai live appunto, come nasce Bassolino Sound?
La band live è uscita insieme al disco. Noi già avevamo fatto dei video che poi rappresentavano un po' il concept della band, del collettivo, dove cerchiamo di lasciare spazio a ogni musicista e all'improvvisazione. Ritengo sia importante non fare sempre lo stesso live, ma avere delle parti libere dove ognuno ha il suo spazio, o almeno ci proviamo.

Ora sei in tour anche in Europa, ti aspettavi il successo che hai avuto con "Città futura"?
Non proprio, certamente non era una cosa alla quale pensavo quando ho fatto il disco. La voglia era di unire dei punti, e probabilmente, quando lo fai, viene riconosciuto dalle persone. Certo, poi la musica deve funzionare. Credo che abbiamo trovato un equilibrio tra qualcosa di riconoscibile e qualcosa di nuovo, ancora mai ascoltato. Sicuramente la parte che più mi emoziona è suonare dal vivo, perché crea un sentimento di condivisione con le persone.

A proposito di condivisione hai fatto dei dj-set in cui mettevi i vinili in posti inaspettati, come il mercato della Pignasecca a Napoli. Come reagiscono le persone?
In maniera molto carina, sicuramente faccio attenzione alla selezione musicale in questi posti, cerco di riportare alla luce album che sono stati sfortunatamente dimenticati. Al mercato, ad esempio, ho messo Tommy Riccio, che faceva disco neomelodica negli anni 70, e poi anche cose più contemporanee. Cerco di unire un po' le persone, sia nei live che nei set.

C'è proprio un'idea di collettività nella descrizione che fai del suonare live e anche del produrre, è così?
Sì, è un imperativo per me, sono molto disposto ad ascoltare gli altri musicisti, a cercare di capire cosa hanno da dire, e cerco di trovare anche il modo per farli esprimere al meglio. Anche il prossimo progetto in uscita racchiude un'idea di collettività intrinseca e persino estesa oltre le frontiere.

Infatti, hai fatto una collaborazione con Charif Megarbane, in un disco che racconta la migrazione dei popoli. Come è andata?
Con Charif c'è stata subito un'intesa quasi fraterna, a livello di sonorità ma anche di valori. Ho sentito che era importante parlare delle persone che abitano il Nord Africa e che sono costrette a lasciare i loro territori. Anche perché storicamente è un momento molto buio per tutti questi popoli, e per me è stato importante poter dare un contributo nell'accendere i riflettori su tematiche sensibili e sulla cultura di questi luoghi.

Trovi che ci siano similitudini tra la città di Beirut e quella di Napoli, culturalmente e musicalmente parlando?
Assolutamente sì, sono entrambe città ricche di cultura, storia e fervore musicale, ma che nel tempo hanno subito dei processi d'imbarbarimento culturale a spese di chi le abita. C'è un'idea fondamentale che unisce i due popoli e i popoli del Sud in generale; vengono spesso dimenticati, ma hanno un'identità nitida che rivendicano, perché alla fine l'identità è l'unica cosa che ti resta. E l'identità di Napoli vive anche nell'identità del mondo arabo. Persino la scala napoletana e la scala araba, se ci pensi, sono la stessa cosa, e da lì viene anche l'assonanza nel sound arabo e nel sound di certa musica napoletana. C'è un'interconnessione nel bacino mediterraneo innegabile. Una volta i confini non erano così invalicabili, e un obiettivo di questo lavoro che abbiamo fatto insieme era proprio quello di abbattere questi muri e di proseguire una strada identitaria legata alla geografia del posto, più che all'economia. Pensare il bacino mediterraneo appunto come un luogo dove le culture si intersecano e dove risiedono tutti popoli del mare, che sono in una certa misura uguali tra loro, nella stessa dimensione e con la stessa, seppur differente, ricchezza culturale. Lavorare con Charif è stato naturale e splendido, spero che faremo altre collaborazioni.

Su cosa ti piacerebbe lavorare nel prossimo futuro?
Sicuramente la musica brasiliana, è un mondo che mi interessa e sarà un elemento d'indagine. Marcos Valle è uno dei primi artisti che mi piacerebbe intercettare. C'è molta connessione con l'Italia, e quando sono stato in Brasile mi sono innamorato delle sonorità e delle influenze musicali. Se ci pensi anche Pino Daniele ha costruito una carriera sulla bossa, il che significa che probabilmente a Napoli siamo molto sensibili a quei ritmi e molte canzoni napoletane funzionano anche in chiave bossa. In effetti, c'è tutta una cultura di musica napoletana bossa nova, mi viene in mente questo disco bellissimo che si chiama "Amicale" di Irio De Paula e Mario Fasciano, che ne è un esempio lampante. Sicuramente mi piacerebbe esplorare la musica brasiliana.

Grazie, Dario.
Grazie a te.

(25 aprile 2025)

Discografia

Città futura (Periodica Records, 2024)7
Pietra miliare
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