Se c'è un act che è riuscito a imporre in brevissimo tempo il suo nome nell'olimpo della musica atmosferica, questo è Illuha. Il frutto, per certi versi inatteso e in continua evoluzione, dell'unione tra l'organicismo concreto di Tomoyoshi Date e il pragmatismo rarefatto di Corey Fuller, impegnati in un cammino verso una delle espressioni più pure ed incontaminate della sound art ambientale. I sussurri di rumore e le tracce sparse di vita del giapponese posti in superficie, i flussi quieti, rarefatti ed immersivi dello statunitense a costituire lo sfondo, la purezza eretta ad orizzonte unico e fine ultimo: queste le componenti da cui i due sono partiti per un'avventura che, nella sua brevità, è già riuscita a lasciare un solco profondo nell'universo dell'ambient music contemporanea. Prima le sfumature blande ad acquarello di "Shenzou", poi la tela riempita a schizzi e tratti brevi di "Interstices", fino ad arrivare alla monumentale scultura di "Akari", opera apollinea e apice formale quanto sostanziale di una generazione sonora tutta. In Illuha convivono e trovano massimo compimento nella contemporaneità sia l'ampio universo dell'improvvisazione elettroacustica giapponese che la scuola ambientale organica che ha da tempo affondato le sue radici presso la 12k di Taylor Deupree, il primo monumento dell'elettronica contemporanea a dedicarvisi in toto abbandonando l'evo digitale. In occasione della recente uscita di "Perpetual", altra meraviglia in cui Fuller e Date si sono ritrovati a dialogare con due dei loro maestri (Ryuichi Sakamoto e lo stesso Deupree), abbiamo voluto ricostruire finalmente l'esperienza Illuha attraverso le parole dei suoi stessi protagonisti.
Prima di tutto, sono curioso di sapere come è nato questo progetto. Ci raccontate qualcosa sulla sua genesi?
Corey Fuller: Tomo (Tomoyoshi Date, ndr) ed io ci ammiravamo entrambi reciprocamente come artisti. La prima volta che l'ho incontrato fu quando lo invitai a suonare a Tokyo in uno show con Opitope. Vivevo ancora negli Stati Uniti all'epoca. Abbiamo registrato alcune cose in trio assieme a Chihei Hatakeyama e lì abbiamo scoperto quanto i nostri stili si amalgamassero bene. Ci siamo divertiti a lavorare insieme e siamo rimasti in contatto scambiandoci materiale, fino a quando per pura coincidenza Tomo non è venuto a Seattle. All'epoca stavo registrando "Seas Between" nella chiesa centenaria di Bellingham: ho invitato Tomo a visitarla e in due weekend abbiamo registrato quello che poi sarebbe divenuto "Shizuku".
Entrambi venite da esperienze artistiche piuttosto simili, ma in un certo senso divergenti nel linguaggio, sia geograficamente che musicalmente... Come siete riusciti a trovare un punto in comune così fertile da generare un linguaggio autenticamente nuovo?
C.F.: Abbiamo molto in comune... Ponti interculturali, un amore per la musica che si evolve lentamente e per i dettagli, la passione per i viaggi e il buon cibo, un senso dello humour giovanile. (ride) Ma credo che più che le nostre somiglianze, siano le nostre differenze a rendere Illuha interessante. Per esempio a livello sonoro, Tomo tende a preferire suoni più asciutti che tendono a mantenersi nella zona frontale del mix, io mi concentro di più su elementi distanti, rarefatti; Tomo lavora molto con le textures, io mi dedico di più a melodie e armonie; io compongo quasi esclusivamente in tonalità minore, Tomo in maggiore... Credo sia proprio la tensione tra queste differenze a spingerci l'uno verso (e contro) l'altro, ed è questo a rendere Illuha un progetto così interessante per noi.
E ci sono elementi che possono rendere talvolta difficile questa "convivenza"?
C.F.: Come ho detto prima tutto ciò che chi ascolta trova interessante nel nostro progetto credo derivi proprio dalle tensioni. Ma di sicuro niente di nostro nasce senza litigi e dissidi. Quando riusciamo ad ascoltarci a vicenda e ci dimostriamo aperti l'uno all'altro arriviamo a parlare davvero la stessa lingua, ed è qui che i nostri sound convergono e arriviamo effettivamente ad avere i brani. Ma durante la lavorazione di un album ci capita spessissimo di discutere e di trovarci in disaccordo. Spesso ci sono idee che portiamo e che capiamo non essere adatte a Illuha, e quindi le rielaboriamo per progetti solisti o altre collaborazioni. Per cui è un processo continuo in cui costruiamo ed evolviamo il nostro linguaggio. Le nostre cose migliori sono comunque nate quando non ci siamo forzati e abbiamo permesso alle idee di scorrere ed evolversi naturalmente, senza alcuna forma di censura tra noi.
Iniziamo a parlare del vostro progetto con Taylor Deupree e Sakamoto... Come è nato?
C.F.: Ryuichi è stato invitato come curatore e direttore artistico del programma celebrativo per il decimo anniversario di YCAM (Yamaguchi Center for Arts and Media, ndr). Lui ha poi invitato Taylor a suonare con lui, e Taylor ci ha suggerito a lui: è stato un grande onore poter collaborare ocn loro.
Comunque avevate già avuto modo di collaborare con entrambi loro in un open-project chiamato Between... Avete ereditato qualcosa da quell'esperienza?
C.F.: Sì, assolutamente. Between è un progetto nato durante un tour in Giappone nel 2012 e coinvolgeva molti artisti della 12k come Marcus Fischer e Simon Scott, oltre a noi e a Taylor. Le circostanze erano tutto sommato simili perché si trattava anche in quel caso di un'improvvisazione dal vivo al cento per cento. Ricordo in maniera distinta una conversazione prima di quella session a Kyoto, in cui parlammo della necessità di ascoltarci l'un l'altro senza aggiungere troppo... Quando si è in cinque a improvvisare, o si sta attenti o si rischia di trasformare tutto in un polpettone saturato di suono, come in una conversazione tra più persone in cui tutti parlano e non si capisce nulla. "Between" resta un lavoro per noi importantissimo, non solo per i ricordi, ma anche per la sua riuscita: alla fine ce l'abbiamo fatta e ne è uscita un'ottima session! Abbiamo lavorato di sottrazione, certe volte togliendo suoni anziché aggiungendone, lasciando quel silenzio che è necessario quando si improvvisa.
E in questo senso, come vi siete divisi spazi e ruoli in "Perpetual"?
C.F.: In "Perpetual" Ryuichi si è occupato delle sezioni di pianoforte, in gran parte prepared o filtrato, ma anche inserendo strumenti a percussione all'interno del piano stesso. Taylor ha suonato vari sintetizzatori modulari, Tomo si è dedicato a vari loop elettronici, field recordings e rumori, oltre a suonare l'armonium. Io, infine, ho lavorato con la chitarra trattata, con il pianet e con vari found object.
Che mi dite invece riguardo il titolo? C'è una connessione fra il "perpetuo" e l'evoluzione generativa dei suoni nella pièce?
C.F.: Semplicemente, dopo aver deciso di pubblicare la registrazione, abbiamo cercato un titolo e "Perpetual" ci sembrava rimandare alla stessa intimità ed eternità qualitativa della musica.
Suppongo che entrambi voi consideriate Taylor e Sakamoto due fonti d'ispirazione, dico bene? Cosa avete provato nel lavorare a stretto contatto con loro?
C.F.: Sì, assolutamente. Beh, è stato un grande onore, specialmente per quanto riguarda Ryuichi. Lui ha una grandissima e variegata esperienza, è un professionista straordinario e un fuoriclasse creativamente. Considerato che personaggio è e il suo curriculum, ci sembrava inevitabile sentire un po' di tensione o soggezione nel lavorare con lui, anche perché entrambi io e Tomo siamo da tempo suoi estimatori, ma così non è stato. Si è subito instaurato un rispetto reciproco fra di noi e verso ciò che tutti noi si portava all'attenzione degli altri, ed eravamo tutti concentrati sulla musica. Credo che l'apertura mentale di tutti sia stata alla base del successo del progetto. Lavorare con musicisti del calibro di Ryuichi e Taylor rappresenta anche una grandissima iniezione di fiducia, dimostra quanto quel che stai facendo e hai fatto abbia maturato un valore.
Pensate che questa collaborazione possa avere un seguito?
C.F.: Speriamo che "Perpetual" sia stato solo il primo atto di una relazione destinata a durare e a ripetersi, ovviamente. Sarebbe magnifico riuscire a creare qualcos'altro insieme, ovviamente, ma anche se questo rimane per ora il nostro unico lavoro insieme, mantiene ancora una bellezza come quella del sakura (ciliegia giapponese, ndr), che svanisce nello stesso istante in cui tu te lo stai godendo.
Sono convinto del fatto che alcuni vostri lavori rappresentino delle vere e proprie vette dell'ambient music contemporanea, e mi riferisco in particolare ad "Akari". Cosa ha rappresentato questo disco lavoro per voi?
C.F.: Il nostro approccio al fare musica è in continua evoluzione, e ciascuna session non va mai nella medesima direzione della successiva o delle precedenti: l'unico elemento fisso è il fatto che tutto nasca da noi, riuniti ad improvvisare contemporaneamente nella medesima stanza. Con "Akari" abbiamo fatto un lavoro che definirei "scultoreo", rispetto per esempio a "Shizuku" che era un lavoro più "pittorico". Per scultoreo inetndo che abbiamo improvvisato e rielaborato ogni dettaglio, spendendo ore a levigare i suoni fino a fargli prendere la forma esatta che cercavamo e volevamo. Una volta emersa la forma, è il pezzo stesso a suggerirci cosa e dove modificare. Mi pare sia stato Morton Feldman a dire a Stockhausen, quando questo gli chiese quale fosse il suo segreto, che lui si limitava a "non costringere i suoni". Noi facciamo lo stesso: passiamo molto tempo ad ascoltare i suggerimenti che i suoni "nascondono" nelle eco e nello spazio, che ci mostrano in che direzione un pezzo si può evolvere naturalmente, anziché spingere i suoni verso qualcosa che non sono... Ci dedichiamo spesso anche a sperimentare, comunque, a cercare nuovi suoni e a scoprirli. Quando arrivassimo l'uno a prevedere le mosse dell'altro significherebbe che il nostro dialogo sta scadendo nella routine: per questo cerchiamo sempre di sorprenderci il più possibile!
Qust'album è, a parer mio, uno dei punti più alti che la sound art ambientale abbia mai raggiunto. Mi ha incuriosito la distanza percettiva tra i titoli e la musica: da un lato, dei suoni quieti e apparentemente naturali, spontanei; dall'altro, titoli che suggeriscono complesse teorie formali dietro ogni singolo suono. Dal vostro punto di vista, "qual è la verità"?
C.F.: In tutta onestà, i titoli erano nulla più di un gioco da cui partire. Spesso ci blocchiamo sui titoli e ci perdiamo tempo, essendo l'ultima cosa che facciamo prima di spedire i master a Taylor (Deupree, ndr). Passiamo così tanto tempo a cercare di esprimerci attraverso la musica, che ridurre i risultati ad espressioni linguistiche è un po' un banalizzare la musica stessa. Ci siamo sentiti così alla fine di "Akari", non volevamo ridurre la musica ad accozzaglie di parole. Per questo abbiamo optato per quei titoli ironicamente clinici e scientifici, privi di emozione e legati semmai alal dimensione fisica del suono, in contrapposizione con la musica che è molto emotiva e romantica, per certi versi. Pensavamo che la gente avrebbe potuto capire questo "scherzo" e cogliere l'ironia dietro quei titoli così strani, ma a dire il vero sei il primo che ci chiede qualcosa a riguardo e che li commenta!
Oltre ad Illuha, Tomoyoshi ha sviluppato anche altri due progetti, Opitope e Melodia. Mentre Corey, tu hai pubblicato poco per conto tuo, ma "Seas Between" è secondo me un altro lavoro bellissimo... Oggi Illuha è divenuto il vostro progetto principale?
C.F.: Dopo "Seas Between" mi sono interessato di più alle collaborazioni e da allora non ho sentito l'esigenza di lavorare a progetti solisti. Sono sempre impegnato a scrivere musica e sviluppare idee, ma non è detto che senta la necessità di pubblicarle. Ciò che mi affascina del collaborare è la prospettiva di creare qualcosa che nessuno potrebbe realizzare da solo. Qualcosa di davvero nuovo, inaspettato, sorprendente. Lavorando da solo mi sono spesso ritrovato schiavo e vittima di me stesso e dei miei conflitti interiori contro l'auto-censura di alcuni spunti. Per cui negli ultimi anni Illuha è divenuto il mio progetto principale e la mia dimora artistica, e mi sono concentrato sull'evolvere questo progetto.
Tomoyoshi Date: Come Illuha, Opitope è iniziato come progetto impro, quindi può darsi che in un certo senso si tratti di esperienze legate fra di loro. "Physis" è stato l'ultimo lavoro di Opitope in cui abbiamo usato i laptop, e "Interstices" è stato l'ultimo in cui li ho usati con Illuha. Per quel che riguarda i lavori solisti, come Corey, pubblicherei al massimo un decimo del materiale che ho raccolto e ammassato in questi anni. Il motivo principale per cui mi dedico di più alle collaborazioni è proprio questo: un disco solista è qualcosa che evolvi quante volte vuoi e per tutto il tempo che vuoi, rischiando di imbucarti in un circolo vizioso. Con le collaborazioni invece c'è un limite e sei sicuro di arrivare a un dunque.
Per quel che riguarda Melodia, Tomo, si tratta di un progetto profondamente diverso dalla musica a cui ti dedichi di solito... Che cosa rappresenta per te?
T.D.: Mentre ero in tour in Europa con Federico (Durand, l'altra metà di Melodia, ndr), l'alimentatore della workstation con cui stavo girando si ruppe, costringendomi a fare a meno della macchina. In breve abbiamo però realizzato che avremmo potuto tranquillamente proseguire il tour usando strumenti acustici. Abbiamo deciso di registrare quel set in una venue outdoor e ne è nato l'album insieme. Sono un medico specializzato in un approccio ibrido che mescola medicina orientale e occidentale, e proprio durante quel tour molte delle mie opinioni a riguardo stavano cambiando, proprio mentre cambiavano anche le mie convinzioni riguardo il digitale e l'analogico, l'elettronico e l'acustico... La tecnologia umana non è adeguata e sufficiente per spiegare i misteri dellla nascita, della vita, e del suono! Possiamo intervenire sui processi, ma abbiamo bisogno lo stesso di una forma di "medicina".
Riascoltavo qualche giorno fa il tuo lavoro con quei due monumenti che sono Toshimaru Nakamura e Ken Ikeda, e mi sono reso conto che sono già passati due anni! Cosa ricordi di quell'esperienza?
T.D.: Ricordo che ero parecchio nervoso mentre registravo e mixavo quella pièce assieme a due musicisti per cui nutro il più profondo rispetto. Credo siano due dei più incredibili esponenti della musica contemporanea! Ora passiamo spesso più tempo a bere e divertirci che a fare musica insieme, ma il nostro secondo album è finito!
Tutti i vostri album sono usciti per la 12k. Avete trovato una sorta di casa presso l'etichetta di Taylor Deupree?
C.F.: Taylor è un grande. Ci concede libertà totale, ma è anche un'orecchio critico e ci regala opinioni sincere, oltre all'incredibile supporto. Credo che la sua sia una delle etichette migliori al mondo in termini di estetica, passione, integrità e visione a lungo termine. Credo che molto sia dovuto al fatto che lui è un musicista... E di riflesso la sua etichetta è una casa per i musicisti, come poche altre sono. Guarda da dove è partito e dove è arrivato oggi! Far parte, anche se in minima misura, di quel cammino è qualcosa di fantastico. Molti artisti che oggi condividono con noi il catalogo 12k hanno avuto un'importanza fondamentale nealla nostra formazione! 12k è come una famiglia, e sì, ci si sente davvero quasi come a casa.
Riguardo la dimensione live, come impostate generalmente i set? Preferite la pura improvvisazione, come mi è parso di capire, o lavorate anche con loop e samples dai vostri dischi?
C.F.: Ci siamo cimentati con entrambe le modalità. Entrambi usavamo i laptop e improvvisavamo, ma dopo un po' ci siamo annoiati di questa modalità distaccata e fredda. Circa quando abbiamo completato "Shizuku" abbiamo iniziato a perndere brani dai nostri dischi e a reinterpretarli, decostruirli e ri-eseguirli dal vivo. Questa tecnica si è dimostrata decisamente più gratificante, per noi - che potevamo rileggere il nostro materiale da diverse prospettive - e per il pubblico - per il quale i pezzi del disco erano più familiari e permettevano di entrare a contatto più da vicino e in maniera più diretta con la performance. Questo approccio ci ha dato la possibilità di strutturare meglio i live, lasciando al contempo lo spazio necessario all'improvvisazione. Da allora abbiamo sposato una tecnica ibrida, con la costante di aver completamente abbandonato i laptop e i set pre-registrati: preferiamo comunque riprodurre il tutto con strumenti veri.
Continuerete a sviluppare in parallelo Illuha e le vostre carriere soliste? A che progetti vi state dedicando e cosa dobbiamo aspettarci da voi nel prossimo futuro?
C.F.: Da dopo "Akari" ho raccolto parecchie idee che non rientrano necessariamente in Illuha e ci sono altri ambiti che mi piacerebbe esplorare e non potrei sviluppare nel contesto di una collaborazione. Per cui sto lavorando attualmente a molti dischi solisti e anche ad un paio di nuovi progetti collaborativi. Non vedo l'ora di condividere con il pubblico queste nuove creazioni!
T.D.: Ad ottobre scorso ho aperto la mia clinica Orientale a Tokyo ("“Tsuyukusa Clinic”, ndr) basata sulla filosofia del té giapponese. Ora sto pianificando le uscite della mia nuova, omonima etichetta, e sto lavorando anche al mio secondo album solista dedicato alla mia seconda figlia.
ILLUHA(Corey Fuller & Tomoyoshi Date) | |
CD & LP | |
Shizuku (12k, 2011) | |
Interstices (12k, 2013) | |
Akari (12k, 2014) | |
Perpetual (with Ryuichi Sakamoto & Taylor Deupree, 12k, 2015) | |
EP, 12", 7", MiniCD, CD-R, Cassette | |
いるは (ltd, 12k, 2012) | |
BETWEEN(Corey Fuller, Marcus Fischer, Simon Scott, Taylor Deupree, Tomoyoshi Date) | |
Between (12k. 2012) | |
COREY FULLER (CD, CD-R) | |
Two Perspectives At Two Locations Along The Sumiyairi River In Naguri-mura, Saitama Prefecture, Japan - March 2nd, 2004 (CD-R, ltd, with Greg Davis, Autumn, 2004) | |
Nature's Noises (CD-R, ltd, with Loiving Space Kindergarten, Autumn, 2006) | |
Seas Between (Dragon's Eye, 2009) | |
TOMOYOSHI DATE | |
Human Being (Flyrec, 2008) | |
Otoha (Own, 2011) | |
Green Heights (with Toshimaru Nakamura & Ken Ikeda, Baskaru, 2013) | |
OPITOPE(Chihei Hatakeyama & Tomoyoshi Date) | |
Hau (Spekk, 2007) | |
Sunroom (with Asuna, Students Of Decay, 2011) | |
A Colony Of Kuala Mute Geeks (White Paddy Mountain, 2013) | |
Physis (Spekk, 2014) | |
MELODIA(Federico Durand & Tomoyoshi Date) | |
Saudades (Own, 2013) | |
Diario De Viaje (Home Normal, 2014) |