Parcels - Un bastimento carico di disco-pop

intervista di Michele Corrado

Non sono più una promessa, i Parcels. Stabilitisi in pianta stabile a Berlino, ma ancora legati discograficamente a Parigi (in molti li abbiamo conosciuti grazie alla spinta ottenuta grazie alla produzione dei Daft Punk del singolo “Overnight”) ed emotivamente alla loro assolata Australia, i cinque giovani musicisti hanno affrontato la prova del secondo disco senza timori, raddoppiando invece le ambizioni. Ne è scaturito “Day/Night”, album imponente e sfaccettato, che ha al suo nucleo l’esplorazione della tematica del doppio e che punta a un sound nu-disco più elegante e rigoroso di quanto ascoltato nel debutto omonimo, ma altrettanto convincente e coinvolgente. Abbiamo approfittato del tradizionale round di interviste promozionali, per scambiare qualche chiacchiera telematica con il baffuto chitarrista Jules Crommelin, infaticabile e fantasioso motore disco della formazione.

Ciao Jules, come va? Giorni belli impegnativi, vero?
Ciao. Mi va davvero alla grande e, sì, sono giorni decisamente impegnativi.

Allora, il vostro secondo disco è finalmente di strada verso le orecchie della gente e gli scaffali dei negozi di musica. Possiamo essere d’accordo sul fatto che sia stato molto più atteso e chiacchierato del vostro primo. Come ci si sente a fronte di tutto questo hype?
Ad essere totalmente onesti, sono un po’ nervoso. I dischi nuovi sono sempre un gran fattore di esposizione e stai sempre lì a sperare che piacciano alle persone. Ma sì, in fin dei conti mi fa davvero piacere che sia finalmente prossimo all’uscita.

Ho letto che questa volta tu e gli altri siete entrati in studio con qualcosa come 150 bozze di canzoni su cui lavorare! Come avete approcciato cotanta mole di materiale? Come avete organizzato il lavoro?
Sì, abbiamo avuto decisamente un gran da fare! Siccome noi facciamo quasi tutto da soli, ha aiutato molto lavorare sulla suddivisione del lavoro in compartimenti e stadi. Anzitutto siamo partiti dall’idea di avere due dischi, uno dedicato al giorno e uno alla notte. Poi siamo passati alla scrittura, che alla fine ci ha fatto trovare per le mani circa 150 canzoni! Ascoltatele tutte, ne abbiamo tagliate tantissime, fino a lasciarne soltanto una ventina o giù di lì. A quel punto ci siamo rifugiati in una casa che abbiamo affittato in Australia, dove abbiamo jammato le canzoni preesistenti e scritto alcuni nuovi brani. È lì che è nata gran parte dei demo delle tracce che sarebbero finite sul disco. Ritornati a Berlino, abbiamo provato nuovamente le canzoni prescelte e le nuove che avevamo scritto nel frattempo. Al momento dell’ingresso negli studi La Frette di Parigi, avevamo per le mani una quarantina di brani che abbiamo registrato insieme a sessionmen e produttori. Dopo un’ulteriore sforbiciata, siamo arrivati ai 21 brani che compongono i due dischi. Sempre a Parigi ne abbiamo registrato le parti vocali, per poi mandare tutto a Owen Pallett, affinché potesse lavorare sugli arrangiamenti d’archi. Dopo il contributo di Owen, abbiamo lavorato al mix con James Ford, il tutto via Zoom per un totale di circa due mesi di sessioni. Che dire… è stato un procedimento assolutamente folle!

Album doppi come “Day/Night” sono sempre una scommessa, specialmente in questi tempi dominati dallo streaming. Come mai avete scelto un formato così ambizioso?
A ripensarci adesso, è stata una scelta certamente non allineata a quello che funziona oggi, specie nel mondo digitale. Ma era quello che ci sentivamo di fare, stavamo semplicemente seguendo la musa. E di questo ne sono davvero fiero.

Il vostro nuovo disco non soltanto è un doppio album, ma vede la tematica del doppio al centro del suo universo lirico. Chi siamo e come invece veniamo percepiti. Cosa mostriamo e cosa invece ci teniamo dentro. Il giorno e la notte… e così via. Come mai avete esplorato così a fondo questo argomento?
E’ stato tutto frutto di una visione ci è stata offerta dalla natura, e più ci abbiamo guardato dentro più ci abbiamo riflettuto. È stato come scoperchiare il vaso di Pandora. Io credo che siamo tutti composti da due lati, poiché guardiamo alla vita in maniera inevitabilmente dualistica. E’ un fatto che ritrovi ovunque tu rivolga lo sguardo, anche osservando in maniera cosciente: siamo tutti soggetti in un mondo oggettivo. Tutto inizia e finisce qui. Ma la natura ci insegna a connettere le due parti. Per arrivare a questo punto, credo sia tutta questione di metterci sufficiente attenzione e farci caso. È un percorso di crescita che non ci vede mai nella stessa posizione, ci evolviamo, superiamo stadi.

Non solo il Covid-19, ma anche i roghi nella vostra Australia hanno influenzato con la loro lunga ombra oscura alcune delle vostre nuove canzoni. Ad ascoltarvi sembra però che non abbiate mai perso la speranza. Come avete vissuto questo periodo così nero?
Ci siamo concentrati sulla musica. Sono davvero grato di avere il privilegio di potermi concentrare sull’arte. La musica è stata certamente il fattore che ci ha permesso di sostenere il peso del caos e delle insicurezze sollevate da questo periodo. Non è stato sempre facile, però, a volte è stata davvero dura.

Chi credeva che non poteste scrivere un singolo in grado di eguagliare l’immediatezza e la portata di “Tieduprightnow” o “Overnight” è stato messo a tacere da “Somethinggreater”. Una canzone tanto contagiosa e groovy quanto melanconica ed emozionante… come l’avete scritta?
L’ha scritta Noah sotto forma di demo, e ricordo di esserne stato rapito non appena l’ho ascoltata. Gli accordi seguono un ciclo davvero interessante, così come il refrain dell’outro “holding out for something greater, holding out for something else”. Tutto mi sembrò subito così potente e capace di stimolare grande curiosità, la necessità di ricercare la verità. Questo ad ogni modo è soltanto quello che ci ho visto io!

Come accennavi, per questo disco avete lavorato con Owen Pallett, che con i suoi archi ha fatto suonare tutto molto cinematografico. Com’è stato lavorare con lui?
Un piacere assoluto. Desideravamo davvero che il disco avesse un suono cinematografico e lui ci ha aiutato a realizzarlo. È un genio.

Domanda di geografia. Voi siete australiani, registrate le vostre canzoni spesso e volentieri a Parigi e ve ne siete andati a vivere a Berlino. Si tratta di tre posti decisamente diversi tra loro, che però influenzano in egual modo la vostra musica. Che cosa hanno in comune? A parte i Parcels, ovviamente.
Domanda davvero molto interessante. Sono posti che hanno tante caratteristiche opposte, è vero. L’Australia rappresenta per noi la natura e il nostro nido, la nostra casa, mentre l’Europa che conosciamo è quella delle grandi, frenetiche città, ed è dove lavoriamo. Qualcosa che ho imparato crescendo è però quanto il mondo sia piccolo. Delle volte per le strade di Berlino incontro gente della mia città natale, così come io mi sposto continuamente attorno al globo. Siamo come formiche trasportate da formicaio a formicaio.

Non solo vivete a Berlino, ma avete anche registrato uno splendido disco live ai leggendari Hansa Tonstudio. Come è stato suonare in quel tempio della musica? C’è qualche disco registrato lì che ami particolarmente?
E’ stato adorabile. Adoro quegli studi di registrazione, sono così belli, con tanto legno, grandi spazi, colori e luci calde. Guarda, io sono cresciuto idolatrando David Bowie, quindi sapere che è lì che è stato registrato “Heroes” per me era sufficiente.

Un’influenza importantissima per la vostra musica è senz’altro quella della disco music. Ti fa piacere condividere con noi i tuoi personali guitar hero della musica disco?
La musica disco è soltanto una forma di dance music, e il suo baricentro è il groove e c’è groove in ogni genere! Perché porsi limiti. Comunque, io adoro David Williams, il chitarrista di "Thriller" di Michael Jackson. Ovviamente amo Nile Rodgers, che ho avuto occasione di conoscere di persona proprio ieri! Muovendoci su altri generi, i miei chitarristi preferiti sono invece Chris Poland dei primi Megadeth, John McLaughlin della Mahavishnu Orchestra e Stevie Ray Vaughan.

Quanto ti è mancato suonare live?
Così tanto che davvero non trovo parole per esprimerlo.

Ti è piaciuto suonare in Italia?
Tantissimo. E ti dirò di più, in un'altra vita l’Italia sarà la mia casa!

Stai ascoltando qualcosa di interessante ultimamente, qualcosa di nuovo che ti va di consigliare ai nostri lettori?
Vi consiglio i King Stingray, australiani come noi…

Con questo è tutto, Jules, grazie mille e buon giorno… o notte!
Grazie a te, è stato un piacere.

Discografia

Parcels (Kitsunè, 2018)7,5
Live Vol. 1 (Because, 2020)7,5
Day/Night (Because, 2021)7,5
Live Vol. 2 (Because, 2023)7
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

 Tieduprightnow
(da Parcels, 2018)
 Somethinggreater
(da Day/Night, 2021)
Live Vol. 1

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