Dubito che quest'anno sotto il sole del Belpaese splenderà una gemma più luminosa di "BRILLA": il duo bolognese ha partorito un dirompente miracolo di fantasia e personalità, una fotografia del mondo in cui viviamo che non sfigurerebbe sui principali palchi internazionali. Ho invitato Katarina Poklepovic (Kat) e Michele Quadri (Sly) al neonato Hack Audio Lab, sede distaccata del Sonic Belligeranza Megastore di via Mascarella, per un'intervista pubblica intervallata da un ascolto ragionato del disco e conclusa da un loro intrigante mini-set.
Partirei proprio dal titolo del vostro ultimo disco, gioco di parole che accende una luce sulla vostra arte: tra il brillare e l'essere brilli abita la fame di vita, il senso d'impellenza, il bisogno di esprimersi ma anche di lasciarsi andare che si avverte nettamente nei brani.
Sly: Potremmo partire dalla copertina, opera di una designer che collabora con la BlauBlau, una delle etichette che ha co-prodotto l'album: un sole con un'espressione particolare...
Kat: Ansiosa e determinata allo stesso tempo. Prende spunto da un simbolo antico...
Sly: Fa pensare a quei libri medievali pieni di disegni. Un sole con dei raggi appuntiti e una faccia preoccupata. In un mondo pieno di problemi, il nostro consiglio è proprio questo: brilla.
Kat: Inizialmente l'idea era di chiamarlo "SHINE". Tutto era partito da una riflessione sul sole, che dà la vita ma che in questo momento ci sta anche bruciando. Il disco è nato in un momento in cui alla paranoia della pandemia si è sostituita una specie di euforia totale, ma anche di consapevolezza che i disastri non sono finiti. Non è l'unico tema, ma è lo spunto di partenza. Parlando con Damiano (Miceli, Panico Concerti/Needn’t, ndr) mi sono però resa conto che quel titolo funzionava poco e che invece "BRILLA" sarebbe stato perfetto, anche a livello di suono. È un invito: "Ehi tu, brilla!".
Penso soprattutto a “Screenlight”, con quel verso ipnotico che denuncia uno spaesamento, una presenza-assenza, un misto di panico ed euforia...
Kat: Panico ed euforia, non avrei saputo dirlo meglio.
Sly: Panico e tempesta...
Una tempesta emotiva che arriva tutta. Ma a questo punto mi chiedo: "BRILLA" è un disco apocalittico o speranzoso? Dentro ci sento molta cupezza, ma anche grande energia.
Kat: È un disco speranzoso: brillare nonostante tutto. Accettare la realtà, ma non lasciarsi seppellire da essa.
Sly: Riconoscerla, prendere coscienza delle cose intorno a te e creare il tuo percorso.
Kat: Fare il meglio partendo da te stesso. La rivoluzione deve partire dalle cose che fai la mattina quando ti svegli.
"Le rivoluzioni iniziano davanti allo specchio", diceva qualcuno... Rimanendo sul titolo e sui testi, mi ha molto colpita questo disinvolto poliglottismo, stilistico ma anche linguistico: se non sbaglio si ascoltano almeno quattro lingue diverse, alcune addirittura dentro la stessa canzone...
Kat: Questo dipende in parte dal fatto che sono nata in Croazia e quando sono arrivata in Italia, a 19 anni, conoscevo solo l'inglese ed era la lingua in cui scrivevo. Per me è naturale esprimermi così, anche perché ho sempre ascoltato soprattutto musica anglofona. Piano piano però ho iniziato a lasciarmi andare e ho capito che mi piace un casino mescolare le lingue che conosco,fregandomene della comprensione altrui, usando le parole in quanto tali. Da lì nasce questo miscuglio, ma anche dalla scelta di coinvolgere altre persone come Traashboo, artista no-gender che ha cantato una strofa in tedesco.
Una strofa in tedesco in un brano reggae, bel pugno nell'orecchio...
Kat: Esatto, ma ci sono anche altri giochi. Ad esempio, ho scritto un testo in croato e l'ho fatto rappare a Sly per ottenere un flow strano, pronunciato anche bene ma con questo accento che lo fa sembrare quasi russo...
Mi ricorda quei procedimenti analogici di fotoritocco in cui un'immagine viene trattata, poi stampata, poi rifotografata, creando una stratificazione di effetti... Qualcosa di simile, oltre che nei testi, avviene nella musica: l'ibrido tra post-punk, psichedelia e hip-hop dei vostri esordi è approdato a una formula ancora più complessa, tra art-rock, trap e hyper-pop.
Kat: All'inizio seguivamo un'idea di free impro, facendo interagire strumenti e macchine per dare organicità all'elettronica. Un suonare intuitivo e poco scolastico, per dare più spazio possibile alla libertà espressiva.
Con molto impeto, quasi con violenza, soprattutto nella vostra attitudine sul palco. Sembrate voler azzannare chi vi ascolta...
Kat: Sì, c'è questo elemento un po' bestiale, fauvista...
Punk...
Kat: Il nostro background è sicuramente punk. Ormai non lo ascolto quasi più, ma è ciò che mi ha dato la spinta nel mondo, non solo musicalmente. La nostra palestra è stata provare nei centri sociali, luoghi in cui potevamo suonare dalla mattina alla sera, registrarci e riascoltarci: è stato fondamentale per approdare a ciò che siamo adesso. È qualcosa che non può essere pensato sul momento, va costruito gradualmente. Va detto poi che ascoltiamo davvero di tutto, dal pop mainstream al grindcore. Con "BRILLA" abbiamo provato a fare un disco più strutturato, chiudendoci in studio, mentre prima pensavamo soprattutto ai live e i dischi nascevano dalla sperimentazione libera.
Un disco più composto, quindi.
Kat: Sì, è il primo disco nato in studio anziché sui palchi.
Sly: Prima creavamo un repertorio per suonarlo ai concerti e poi registravamo il disco, che racchiudeva quanto avevamo fatto dal vivo, anche se in realtà non c'era mai un'esatta corrispondenza tra le due cose. Adesso, invece, non ci siamo posti il problema di come queste canzoni avrebbero suonato live, abbiamo messo insieme le idee che avevamo appositamente per scrivere un album.
Kat: È stato molto importante anche il coinvolgimento di Fight Pausa...
Il produttore del disco.
Kat: Diciamo che noi l'abbiamo registrato e pre-prodotto nel nostro studio, mentre con lui abbiamo ordinato il caos. Lavorando insieme a lui abbiamo imparato tantissimo. Ci capiva, è un nostro fan come noi lo siamo delle sue cose, è stato un approccio molto empatico, aperto e rispettoso. È la prima volta che sono veramente contenta di un nostro disco.
È stato un po' un lavoro di squadra questo album, con diversi featuring a fare capolino.
Sly: Sono stati tutti featuring a distanza, soprattutto dalla Germania, mentre Fra Zedde ha registrato le percussioni in Olanda.
Kat: L'unico con cui eravamo in studio insieme era Luca Rocco degli Storm{O}.
Sly: La sua parte in "DARK" è una delle cose più fighe del disco.
In uno dei brani più fighi del disco...
Sly: Sì, è anche uno dei miei preferiti.
Scrivete assieme?
Sly: Fondamentalmente sì. A volte si parte da un'idea individuale, altre nascono suonando. D'altronde viviamo e lavoriamo insieme, lo studio in cui creiamo è dentro la nostra casa.
Mi affascina molto questa dimensione hippie da comune rurale, un po' alla Embryo...
Sly: Alla "living the dream"! Da Carlo ci siamo presentati con queste idee, lui ci conosce e sa che a volte esageriamo, del tipo che io suono la chitarra e nel frattempo le percussioni, lei programma i loop e intanto suona il synth...
Si percepisce questa frenesia...
Sly: Lui non si è fatto problemi a dirci "Magari tagliamoli questi otto minuti di coda"...
Kat: Quello che facciamo esce dal cuore e spesso ce ne innamoriamo. Ad esempio, su "Eyes Of The Satellite" c'era questo svarione psichedelico finale con un mio assolo di chitarra, un delirio... L'abbiamo levato e abbiamo fatto bene!
Il vostro approccio alla psichedelica è estremamente interessante: sembra creare un ponte tra la Berlino kraut di Ash Ra Tempel e Tangerine Dream e la Brooklyn arty di Tv On The Radio, Oneida, Fiery Furnaces e soprattutto Animal Collective.
Sly: Sono sempre stato un grande appassionato di psichedelia, una musica che quando la ascolti ti fa entrare in un altro mondo. È bello avere queste possibilità.
Kat: Psichedelia intesa non per forza come genere.
Sly: È un approccio.
Kat: Ad esempio, quando vado a un concerto, mi rendo conto che ha spaccato se alla fine non capisco più niente. Di solito per professional distortion tendo a far caso a tutto quello che succede sul palco, ma quando la musica mi trasporta altrove e si stacca il cervello, vuol dire che parliamo di un concerto della madonna. E lo stesso ovviamente vale anche per i dischi. Io non mi drogo, quindi se avviene è qualcosa di naturale ed è quello che vorrei ottenere anche con la mia musica. Devi trasmettere agli altri quello che hai dentro in maniera spontanea, ma allo stesso tempo devi essere presente e sul pezzo, a livello tecnico e "fisico".
Avere un produttore che pone degli argini è utile per non divagare all'infinito.
Kat: In generale, direi che con questo disco è arrivato quello che volevamo dire.
Evidentemente avete fatto un buon lavoro. Lo riassumerei in tre parole d'ordine: intensità, internazionalità, contemporaneità. Parlate al presente del presente.
Kat: Mi fa piacere sentirtelo dire. Sono tre cose molto importanti ed è proprio l'effetto che vogliamo ottenere.
Sly: Sono tre osservazioni azzeccate. In particolare l'intensità è un parametro su cui stiamo lavorando molto, soprattutto dal vivo. Non vediamo l'ora di portare live questi pezzi per dimostrarvelo.
E io non vedo l'ora di sincerarmene.
Kat: Va anche detto che ci vorrebbero almeno altri tre o quattro musicisti sul palco per riprodurli così come sono, ma ci piace la dimensione del duo.
Piace anche a me, fa molto Suicide...
Kat: Abbiamo cercato di riprendere i punti fondamentali dei brani, ma riarrangiandoli per renderli più suonati, con meno basi possibile.
C’è un forte elemento performativo in quello che fate.
Kat: Assolutamente sì, il gesto e la dinamica sono molto importanti sul palco, a livello di volumi e velocità. Vogliamo trascinarvi dalla psichedelia al rave.
Un approccio in fondo più umano: il nostro modo di sentire tende all'ondulato piuttosto che al piatto...
Kat: È un aspetto che però non va forzato, o non funziona più. Deve piacere sia a noi che a voi.