Francesco Zedde rinnova la scena di Jesi dapprima con la sigla Tacet Tacet Tacet, un collettivo di ambient sperimentale multimediale di cui è fondatore e coordinatore, oltre che attivo membro (“Embodiment”, 2016”, i ventiquattro minuti di “Perpetual”, 2017), e poi con un suo personale progetto one-man band, Tonto, basato quasi esclusivamente su batteria e voce, con cui realizza i primi “Excerpts#1” (2016), “Excerpts#2” (2016) e, dopo un “Live#1” (2017), “Excerpts#4”, finora il suo meno ortodosso.
Il suo sembra un hip-hop da ospedale psichiatrico: i riverberi industriali e le sincopi jungle di “hoʊlɪˈbɔɪ” lo dimostrano senza trattenere alcunché. Così “aɪsɛd noʊ” e “kæsəl”, cantilene e slogan d’ascendenza hardcore e gangsta, già poco riconoscibili e ulteriormente deteriorati. Tutto suona ancora normale finché non si arriva a “əˈlæskən lɑ lɑ lænd”, grindcore dell’assurdo con la voce distorta fino al rumore di tagliaerba. Merito o meno, il duetto tra synth e batteria scomposta di “ɪftitu hɑrts” riprende per la prima volta la “Mental Door” di Klaus Schulze.
Ma l’insieme sembra più che altro voler deragliare incontrollatamente al di fuori dei generi conosciuti. Il mugolio con cui si apre “drɑpˈɪt” ritorna inquietante più volte in continui stop e ripartenze di batteria modificata (“preparata”) nei tempi più disparati, sempre vegliato da urla come latrati, fino a incepparsi in loop senza senso, e poi sfaldarsi. “ˈklɛntʃ” evoca una specie di dub in putrefazione che a ogni battuta perde pezzi. “ʌvðəprɪnsɛs”, la più rarefatta, aggiorna e rialza di caos la “Grand Vizier’s Garden Party” di Nick Mason e i poemetti di Tod Dockstader. “blækkæt” è uno tsunami per piatti e dio sa cos’altro.
Il disco si ferma attonito e quasi stupito di sé stesso. Ancora qualche altro momento di quest’intensità e tenore e avrebbe assurto allo status di rivoluzionario, oltre che di capolavoro della musica italiana tout-court. Suonato e registrato (in un solo giorno) con strumenti e impiantistica autocostruiti, o meglio autodistrutti e poi assemblati a forza, per accumulare quanta più distorsione accidentale possibile. Nel solco dello Zach Hill solista, e pure di Dizayga dei Stabscotch (“Anthrocide”, 2018). Ben dieci label indipendenti nostrane a produrlo. Video: “aɪsɛd noʊ”.
03/12/2018